Franck
Poupeau
Il modo
in cui i media parlano dei movimenti che agitano il ststema scolastico francese
illustra in modo esemplare come questioni centrali delle lotte sociali possano
essere messe in diparte nel dibattito pubblico. Scioperi ad oltranza e
occupazioni di scuole da parte dei genitori dopo le vacanze di Pasqua si sono
moltiplicati nelle scuole elementari, nelle medie e nei licei di numerosi
dipartimenti (1).
In alcune città si sono stabiliti collegamenti con
lavoratori in via di licenziamento o con altri rami del settore pubblico e il
personale della scuola
è stato molto presente nelle manifestazioni di maggio.
Certo, la questione delle pensioni resta l'elemento che
mobilita il corpo insegnante, che a causa di studi lunghi entra tardi nella vita
attiva. Ma sono i progetti di decentramento, che assomigliano a un'impresa di
demolizione del servizio pubblico dell'istruzione, ad aver scatenato il
movimento in corso.
Dopo la fine di aprile, gli istituti scolastici in lotta di
tutti i dipartimenti raggiunti dal movimento partecipano a riunioni nazionali.
Sono rappresentati i collettivi del personale assunto con i
contratti impiego-giovani e quelli del personale non insegnante. L'obiettivo è
un movimento di ampiezza nazionale, su base comuni: critica del decentramento,
difesa dei precari e dei sorveglianti, ritorno ai 37,5 anni di contributi per
andare in pensione. Si tratta anche di evitare lo scoraggiamento e la
smobilitazione, di fronte al silenzio della maggior parte dei media che sembrano
ignorare che, da varie settimane, istituti scolastici di Le Havre, Montpellier,
Béziers, Tolosa, della Seine-Saint-Denis - senza dimenticare quelli della Réunion
- sono in sciopero ad oltranza.
Le assemblee generali sono la prova della motivazione degli
insegnanti.
La minaccia del decentramento si fa già sentire nelle zone
meno ricche, quando gli enti locali non sono in grando di compensare il calo
della spesa pubblica. Alla Courneuve, nella Seine-Saint-Denis, il Fondo di
azione sociale ha dimezzato il bilancio. Soltanto per la scuola
media Politzer, 62 famiglie sono minacciate di un prossimo arrivo dell'ufficiale
giudiziario per non aver potuto pagare la mensa per i loro figli. I quali non
mangiano più a mezzogiorno a scuola...
È su esempi di questo tipo che si basa la contestazione
degli insegnanti, tacciata ormai come «corporativa». Il movimento si radica
nella constatazione delle difficoltà crescenti ad adempiere alle missioni
pedagogiche di fronte alle dimissioni dello stato. Le recenti misure sembrano un
attacco supplementare contro il servizio pubblico. Il movimento attuale si pone
nella scia della mobilitazione iniziata subito dopo l'arrivo al ministero della
pubblica istruzione di Luc Ferry. In un primo tempo, il ministro aveva giocato
la carta della rivalorizzazione del ruolo dell'insegnante. In gennaio, aveva
annunciato uno «sforzo significativo» di assunzioni di professori (30mila, di
cui 18mila nella scuola
secondaria) per compensare i pensionamenti.
Ma non tutto il personale ha beneficiato di questa
apparente volontà di pacificazione. La creazione di 16mila posti di assistente
di educazione nel 2003, per sostituire il pensionamento di 5600 maestri per gli
interni dei collegi, di sorveglianti per gli esterni e la scomparsa di 20mila
aiuto-educatori, il cui contratto scade quest'anno, hanno lasciato questi ultimi
senza la formazione e gli sbocchi professionali promessi. Dal dicembre 2002,
questi precari sono in agitazione, nell'indifferenza di alcune strutture
sindacali. Il posto di lavoro che viene offerto agli assistenti educativi è
tuttavia gravido di conseguenze: le assunzioni verranno fatte a livello locale,
con il tempo di lavoro annualizzato, scelta che evoca la flessibilità crescente
in altri settori di attività. Questa misura conferma quindi le inquietudini di
coloro che non hanno cessato di denunciare la privatizzazione larvata del
sistema di insegnamento. Con la scusa del «decentramento», della sussidiarietà
amministrativa e dell' «autonomia degli istituti scolastici».
In questo settore, le politiche della scuola
della destra non fanno che prolungare quelle della sinistra. Quando Luc Ferry
mette in causa la «demagogia» della legge di orientamento del 1989, che pone
«l'allievo al centro del sistema», dimentica che i mezzi sono sempre mancati
per insegnare «altrimenti»: ore di concertazione delle squadre pedagogiche,
possibilità di seguire individualmente l'allievo. La legge di orientamento del
1989 ha sancito il trasferimento (avviato dalle leggi di decentralizzazione
degli anni '80) delle competenze amministrative verso gli istituti scolastici
pubblici. Il ministro, che afferma che l'autonomia degli istituti scolastici è
«la chiave di tutte le altre riforme» (2),
non ignora che l'insegnemanto elementare ha già sperimentato, su scala
muncipale, ciò che gli istituti scolastici di insegnamento secondario
conosceranno probabilmente sul piano diparimentale o regionale.
Marsiglia. Nel cortile della
scuola
elementare Korsec, i maestri aspettano i genitori per una riunione di
informazione, prima di andare assieme alla manifestazione del 1° maggio. In
questa scuola
circondata da condomini mezzi in rovina, gli allievi sono per il 90% di famiglie
immigrate, il 37% delle quali alla prima generazione di immigrazione.
Due anni fa, questa scuola
aveva i risultati più bassi della Zep (Zona di educazione prioritaria) di
Marsiglia, città già al livello più basso della «classifica» scolastica. Il
lavoro della squadra pedagogica ha permesso di migliorare i risultati, in
particolare grazie a classi con un numero ridotto di allievi e a incontri
regolari con le famiglie. Ma la persona che si occupava della biblioteca,
assunta con un contratto impiego-giovani, deve lasciare la scuola;
il suo contratto non è stato rinnovato. Non ne resta più che uno sui quattro
dell'anno precedente. L'infermiera sta aspettando la lettera di trasferimento
per il rettorato - fra poco nella scuola
ci saranno solo i maestri.
Vendita pezzo a pezzo Gli insegnanti di Korsec, quando
hanno fatto il giro della città, sono rimasti molto stupiti dallo scoprire come
le scuole dei «quartieri alti» fossero meglio fornite. Gli ideologi della
decentralizzazione non menzionano il clientelismo larvato che questa veicola. In
molte scuole, la pulizia è già realizzata da società private e la mensa
fornita dalla società Sodexho. Piuttosto che una privatizzazione generale, il
sistema scolastico viene venduto pezzo a pezzo. La distribuzione sul mercato di
parti fatta dai comuni può persino avvenire sotto la copertura del servizio
pubblico. Ma le scuole più povere, in cui il pubblico è il meno «redditizio»
in termini di voti, non ne trarranno profitto. Per la scuola
elementare, gli effetti del decentramento e della «gestione locale» non sono
soltanto differenziati da regione a regione, ma tra scuole di una stessa città,
o addirittura di uno stesso settore scolastico. Il primo ministro, Jean-Pierre
Raffarin nondimeno giustifica, come del resto i suoi predecessori socialisti, il
trasferimento di più di 110mila funzionari della pubblica istruzione agli enti
locali, invocando la ricerca di una migliore «efficienza» e di una maggiore «coerenza»
nell'organizzazione del servizio pubblico. Gli assistenti sociali e i medici
scolastici dipenderanno dai consigli provinciali, che già si fanno carico
dell'azione sociale; il personale tecnico, operai e lavoratori sociali (Tos)
dipenderanno dai dipartimenti e dalla regioni, responsabili della manutenzione
degli istituti secondari.
I consiglieri di orientamento e gli psicologici verranno
anch'essi trasferiti alle regioni. Con un nuovo datore di lavoro, ci saranno
nuove missioni: si dedicheranno al lavoro di inserimento e alla
professionalizzazione.
La mancanza di personale aggraverà ancora il funzionamento
labirintico delle filiere e delle opzioni per gli allievi di origine popolare.
Gli avvocati del decentramento invocano la «vicinanza»
dei servizi pubblici agli «utenti». Questa logica economica, difesa dai poteri
pubblici, deve privilegiate i «consumatori di scuola».
Raffarin ha annunciato, per esempio, che «il consiglio regionale deciderà con
i rettori la carta delle formazioni professionali, fino al primo ciclo
universitario di tre anni dopo l'esame di maturità». I «licei di mestiere»
sono destinati a generalizzarsi, per avvicinare l'offerta scolastica al tessuto
economico locale. Questa misura permetterà di riorientare gli allievi delle
classi popolari che formano il grosso delle filiere tecniche e professionali fin
dalla seconda media. Il trasferimento di competenze e di personale ha altri fini
che non hanno nulla a che vedere con il miglioramento del «servizio»: si
inserisce in un movimento generale di economie di bilancio. Un rapporto
parlamentare presentato all'inizio di aprile dal presidente della commissione
finanze dell'Assemblea nazionale, Pierre Méhaignerie, chiede per esempio la
riduzione delle spese dello stato e il rimpazzo di soltanto metà dei
pensionamenti. Poi toccherà alla rimessa in causa dello statuto dei funzionari:
«la contrattualizzazione (...) e il decentramento devono portare a una
deflazione dei dipendenti pubblici. Facendo ricorso ad assunzioni a contratto,
lo stato potrà più facilmente chiedere ai funzionari titolari di rinunciare
alla garanzia dell'impiego a vita contro stipendi più attraenti» (3).
Assunzioni a contratto, senza formazione né sostegno
pedagogico: ecco a cosa assomiglia la rivalorizzazione degli insegnanti promessa
dal governo.
La tendenza alla localizzazione dell'azione educativa non
è né nuova né specificamente francese. Messa in opera dagli anni '80 con il
decentramento e la decentramento dell'amministrazione della pubblica istruzione,
ha avuto aspetti positivi, in particolare per il rinnovamento di alcuni edifici
scolastici da parte dei consigli provinciali. Ma ha anche contribuito a
rafforzare l'istituzione di un «mercato scolastico» dove le scelte educative
delle famiglie incontrano l'offerta concorrenziale degli istituti scolastici.
Questa concorrenza ha accentuato le disparità territoriali: le «buone scuole»
ragruppano sempre di più i «buoni allievi», mentre alcune zone concentrano
allievi in difficoltà scolastica e sociale. La privatizzazione della scuola
non sembra però assolutamente necessaria: la rovina del servizio pubblico
giustifica, per le classi sociali più abbienti, il ricorso alla scuola
privata (4),
o ancora alle logiche di aggiramento (5),
che portano coloro che ne hanno i mezzi a rifugiarsi nelle filiere più
redditizie, cioè quelle meno toccate dalla svalutazione del valore dei titoli
di studio e delle scuole dove prevalgono le classi popolari.
Come per le pensioni e, tra breve, per la salute, la
realizzazione liberista del decentramento crea le condizioni per l'insediamento
di un mercato, nello spirito degli accordi internazionali già firmati nel corso
delle riunioni di Bologna o di Siviglia (6).
Ciò che resta del settore pubblico è già considerato dall'Organizzaaione per
la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) con un cinismo senza veli: «se
vengono diminuite le spese di funzionamento, bisogna stare attenti a non
diminuire la quantità dei servizi resi, anche al prezzo di un calo della qualità.
Possono essere ridotti, per esempio, i finanziamenti alle scuole e alle
università, ma sarebbe pericoloso restringere il numero di allievi e studenti.
Le famiglie reagiranno violentemente a un rifiuto di iscrivere i loro figli, ma
non a un calo graduale della qualità dell'insegnamento e la scuola
puo' progressivamente ottenere dei contributi da parte delle famiglie oppure
sopprimere determinate attività. Questo deve avvenire caso per caso, in una
determinata scuola
ma non in quella vicina, per evitare uno scontento generale della popolazione» (7).
note:
*Sociologo e autore di Une sociologie d'Etat: l'école et ses experts en France,
Raison d'agir, Parigi, 2003.
(1)
Si veda il sito che ricapitola, giorno per giorno, l'insieme degli istituti
scolastici in sciopero: www.reseau-desbahuts.lautre.net
(2)
Libération, 20 marzo 2003.
(3)
si veda www.assemblee-nationale.fr/ 12/rap-info/i0765.asp
(4)
Alla fine degli anni '90 in Francia, la scuola
privata parificata istruiva circa il 15% degli allievi di primo grado e più del
20% del secondo grado. Se si tiene conto dell'insieme degli istituti scolastici
frequentati nel corso della scolarità, il ricorso, anche temporaneao, al
privato concerne una famiglia su due, secondo lo studio realizzato da Gabriel
Langouët e Alain Léger, Le Chaos des familles. Ecole publique ou
école privée, Faber, Parigi, 1997.
(5)
Le deroghe alla carta scolastica (che determina l'istituito scolastico che ogni
allievo deve frequentare, a seconda della residenza, ndt) vengono favorite dal
decentramento e dalle possibilità di arrangiarsi con i «poteri locali».
6) Riunione dei ministri dell'istruzione dell'Unione europea, il 19 giugno 1999
a Bologna e vertice europeo del 21-22 giugno 2002 a Siviglia.
(7) Christian Morrisson, Cahier de l'économie politique, n.13, Centre de développement
de l'Ocde, Parigi.