New York. Karl Rove ha parlato, la campagna
elettorale di Bush per le Presidenziali del 2004 è iniziata. Ufficialmente si
aspetterà il Memorial Day (il 26 maggio), ma l'annuncio della ricandidatura di
Dick Cheney alla vicepresidenza e la rara uscita pubblica di Rove hanno
accelerato i tempi. Rove, 52 anni, faccia da bimbo innocente, pelle chiara e
occhi azzurri, è il riservatissimo senior political advisor di George W. Bush,
l'uomo più temuto di Washington, l'intelligentissimo consigliere personale del
presidente definito "il cervello di Bush" da un libro uscito un paio
di mesi fa. Karl Rove sta dietro tutte le grandi decisioni della Casa Bianca,
tanto che nella capitale dell'impero i Democratici usano dire "Rove"
invece che "Amministrazione Bush" e da qualche giorno si interrogano
"se Rove abbia intenzione di invadere la Siria". Esagerazioni, ma Rove
è davvero una celebrità. Mercoledì è andato in New Hampshire dove ha tenuto
un discorso atteso e seguito da sette network e decine di giornalisti. Sembrava
un candidato alla presidenza più che uno stratega, citazioni storiche, battute
e riflessioni politiche. In un colpo solo Rove ha minimizzato la corsa dei nove
pretendenti democratici alla Casa Bianca, tanto che il candidato di sinistra
Howard Dean, in zona per le Primarie, non se lo è filato nessuno. E i titoli di
apertura dei telegiornali non sono andati all'importante discorso sull'energia
di Joe Lieberman ma, appunto, al discorso di Rove, avvenuto nello Stato dove
Bush nelle primarie del 1999 fu sconfitto da John McCain con uno scarto di quasi
venti punti. Per capire l'importanza di Rove basta citare il Boston Globe, il
cui articolo iniziava così: "Tornando sul luogo della sua più
imbarazzante sconfitta politica". Sua, non di Bush.
La campagna presidenziale, dunque, è iniziata, e già ci sono furibonde
polemiche per le ultime due mosse studiate da Rove, questa settimana oggetto di
un lungo ritratto sul New Yorker. L'atterraggio sulla USS Lincoln di un Bush in
versione Top Gun viene considerato il più formidabile spot elettorale per un
presidente in cerca di rielezione. Si mormora che sia opera di Rove. I liberal
rumoreggiano, per bocca del senatore democratico Robert Byrd e dei columnist del
New York Times. Non si usa la guerra e la morte di decine di americani a fini
elettorali, dice Byrd. "C'è stato un tempo in cui gli americani patrioti
di entrambi i partiti avrebbero denunciato qualsiasi presidente che cercasse di
trarre vantaggio politico dal suo ruolo di comandante in capo", ha scritto
Paul Krugman, subito smentito su Internet da fotografie di Bill Clinton in
divisa militare a bordo di una portaerei. La verità è che Rove è felicissimo
delle polemiche scatenate dai Democratici, più attaccano il presidente
vincitore di due guerre in 18 mesi, più Bush è al riparo da sorprese e
problemi che gli potrebbero venire soltanto dal fronte interno, dal deficit e
dalla disoccupazione oltre che dal gigantesco piano di tagli fiscali che,
secondo la Casa Bianca, dovrebbe rilanciare l'economia.
Come ha scritto ieri la rivista web Salon, gli avversari del presidente sperano
che Bush resti vittima dello stesso destino politico di suo padre, vincitore nel
1992 di una guerra in Iraq e sconfitto alle elezioni successive a causa della
crisi economica: "Il giovane Bush, però, ha due cose che suo padre non
aveva: una guerra al terrorismo ancora in corso e un consigliere politico tosto
come Karl Rove". Rove controlla anche il partito repubblciano e con
un'altra mossa ha provocato ulteriori polemiche: "I Democratici hanno
spostato la loro convention a metà luglio, sperando che noi fossimo costretti a
riunirci ad agosto in contemporanea con le Olimpiadi. Non ci siamo cascati, e
abbiamo spostato la nostra riunione a settembre". A New York. Nel terzo
anniversario dell'11 settembre.
L'America sognata da
George Bush conquista i ragazzi delle università
Goffredo Buccini
Corriere della Sera del
26-05-03
NEW YORK - Hanno un mito, Ronald Reagan,
"un uomo di principio", che tuttavia nessuno di loro ha vista dal vivo
nelle sue memorabili interpretazioni anni Ottanta, da presidente degli Stati
Uniti. E hanno una parola d'ordine: strappare al democratici le loro stesse
parole d'ordine ridicolizzandoli sul terreno del "politicamente
corretto".
Hanno un Ideologo, Bili Buckley, che nel 1951 fu bollato come "puro
fascista" avendo accusato Yale di sfornare dalle sue aule "atei
socialisti".
E hanno un eroe eponimo, che trent'anni fa era proprio
come loro, ambizioso e conservatore e pragmatico, e in fondo si può dire li
abbia inventati (oltre che, in tempi più recenti, foraggiati): Karl Rove,
adesso genio della lampada di Bush e onnipotente inquilino della West Wing, nel
1973 tifoso di Nixon e presidente del College Republicans, il gruppo dei ragazzi
americani di destra da dove tutto comincia. "La storia dei College
Republicans - ha scritto di recente Nicholas Lemann sul New Yorker - somiglia a
quella dei gruppi di sinistra, piena di colpi di mano e intrighi. E il più
College Republican di tutti i College Republicans era Rove".
Ora anche Il New York Times ha acceso un faro su questa nuova tipologia di
ventenni che danno la scalata ai giornaletti, ai siti e alle coscienze
universitarie preparandosi a farlo, in grande stile, nella società americana
che verrà.
Quella che sembrerebbe quasi un'operazione di egemonia
gramsciana ha attirato l'attenzione del maggiore quotidiano d'America, che a
essa ha dedicato una lunga inchiesta con un titolo giocato sulla nuova identità
di questi ragazzi, "The Young Hipubilcans" (il riferimento è alla
cultura hip-hop che, all'apparenza, avrebbe tutt'altre coordinate). Già
vincenti nei campus della "little America" (come la Bucknell
University della Pennsylvania, dove il Times ambienta la sua indagine), i
fratellini minori di Rove hanno alzato la testa dal Maine alla California e per
fino in una roccaforte liberale come Berkeley.
Nelle settimane della guerra all'Iraq (che ha rivelato la
divisione generazionale tra professori di sinistra e studenti di destra) hanno
sfilato, minoritari ma orgogliosi, gridando "Bush, Bush!" nel People's
Park, il "parco del popolo" dove l'allora governatore Reagan mandò
nel '69 la guardia nazionale a reprimere le manifestazioni della sinistra
studentesca (nella loro agenda politica, hanno sul People's Park-luogo di culto
della sinistra - idee semplici e risolutive: farlo spianare dalle ruspe).
Non vengono dal nulla, questi ragazzi che usano i sistemi del "Free Speech
Movement" dall'altra parte della barricata. La lista dei loro finanziatori
è lunga, dal Collegiate Network al potente Isi, l'istituto nato per strappare
alla sinistra i college. Gli "hip-hop Republicans" non sono un
investimento a perdere: negli ultimi tre anni 256 nuovi gruppi conservatori sono
nati nei campus, la commissione nazionale dei College Republlcans ha triplicato
gli iscritti e toccato la quota mai vista prima di 1148 sezioni, il successo
repubblicano alle elezioni di medio termine dell'autunno scorso è dovuto anche
alla nuova onda verde: "Gli studenti portano entusiasmo e bussano a tutte
le porte", ha detto al Times Scott Stewart, erede di Karl Rove nell'ufficio
di presidente dei College Republicans. Quando Rove si rimboccò le maniche in
quell'ufficio (dopo aver fatto fuori il rivale Robert Edgeworth con una serie di
colpi di mano e con l'appoggio risolutivo di George Bush padre, allora
presidente della commissione nazionale repubblicana) la situazione era parecchio
diversa.
Il partito, sommerso dai detriti del Watergate, aveva
bruciato 43 seggi alla Camera nelle elezioni del '74, era crollato di 21 punti
su scala nazionale, aveva perso sei poltrone da governatore. Robert Teeter,
ingaggiato per fotografare la situazione in un rapporto alla direzione esecutiva
repubblicana, scrisse: "Non siamo più un partito di minoranza, abbiamo
raggiunto lo status di partito minore". Trent'anni dopo il New York Times
scrive di "un'era di dominio": con Rove stratega in capo, i
repubblicani pianificano seriamente non solo la rielezione di Bush alla Casa
Bianca ma anche la costruzione di un partito che comandi a lungo. Bisogna dunque
guardare a Rove per capire cosa stia succedendo nelle università.
Buttati alle ortiche blazer e tailleur, abolite le discriminazioni contro i gay
(molti appoggiano le coppie omosessuali), i giovani "neocons"
(neoconservatori) si fanno beffe dei "paleos" come Pat Buchanan
("è bell'e morto, quello") e impugnano lo scontro generazionale con i
professori liberali (quasi tutti reduci sessantottini) come una bandiera di
nuova contestazione. Usano sul giornali Immagini rubate ai democratici.
"Noi condividiamo il suo sogno", hanno titolato nel numero di
febbraio, su una gigantesca foto di Martin Luther King, i ragazzi della
redazione di Counterweight, il foglio di destra della Bucknell University. Le
pagine interne erano dedicate alla necessità di abolire le quote a tutela delle
minoranze nelle università: "La sinistra razzista ha crudelmente
abbandonato il sogno del dottor King "che i miei quattro figli vivano un
giorno in una nazione dove non siano giudicati dal colore della loro
pelle"".
I bravi ragazzi di Counterweight sorvolano sul fatto che,
senza "affirmative action" e pari opportunità,i figli di Martin
Luther King e tanti come loro non ci si sarebbero neanche accostati alle
università. Ma l'uso dl un argomento liberale (il sogno di King) per
raggiungere un obiettivo condiviso dal Ku Klux Klan (fuori i neri dalle
università) è un seducente metodo dialettico della nuova destra.
Al femminismo estremista dei "Monologhi della vagina" i contestatori
della Bucknell hanno del resto facile gioco nell'opporre i "Monologhi del
pene": e non solo perché pure i sondaggi dell'università della California
mostrano come i giovani sterzino a destra da tempo (quasi cinque su dieci sono
contro l'aborto, sette anni fa il 66 per cento pensava che i ricchi dovessero
pagare più tasse, oggi solo il 50 per cento lo crede ancora); più
semplicemente, perché i ragazzi sono stufi dell'ingessatura di correttezza
politica dentro cm sembra essere rinchiusa la sinistra ("mostriamo come
sono intolleranti e intellettualmente pigre siano diventate le femministe",
dicono i provocatori, e le provocatrici, dei nuovi "monologhi"). Il
paradosso di una sinistra che sta all'opposizione nel Paese ma nei college viene
percepita come vecchia e incrostata di potere rischia di far fuori sul nascere
le speranze di riscatto dei democratici per le prossime elezioni. L'11 settembre
è stata l'ultima, decisiva svolta, con la valanga patriottica che i democratici
non hanno capito.
Tempo fa Karl Rove ha detto: "I partiti che non
riescono ad adattarsi alle nuove circostanze si suicidano".
Poi, a sveltire il lento suicidio democratico, ha chiamato i Karl Rove del 2030.
Una
poltrona per due (Bush permettendo)
Pino Buongiorno
8/8/2003
http://www.panorama.it/mondo/americhe/articolo/ix1-A020001020265
Howard Dean è il fenomeno politico del 2003: piace
molto ai giovani, ma anche ai repubblicani che lo ritengono avversario facile.
L'altro, John Kerry, è un new democrat, come Clinton: basso profilo, solido
patrimonio e un team di esperti economici di prim'ordine. Ha l'appoggio del
partito e fa paura alla Casa Bianca
Da New York -
Cosa hanno in comune
Karl Rove, il cervello politico della Casa Bianca, e
Alec Baldwin, il più liberal degli attori di Hollywood? Apparentemente
niente.
Eppure l'arci-conservatore consigliere di George W. Bush e l'ex consorte di Kim
Basinger sono uniti da una stessa passione: Howard Dean, 53 anni,
governatore del Vermont dal 1991 al 2002, uno dei nove candidati democratici
alle presidenziali del novembre 2004. è lui l'outsider per eccellenza, quello
che sta scaldando una campagna elettorale che rischiava di annoiare tanto
l'esito sembrava scontato.
«Vai Dean, vai» ha urlato Rove durante la parata del 4 luglio mentre
gli attivisti dell'ex governatore marciavano nella capitale. «Voglio un
politico vero che sia capace di rispedire nel suo ranch quel pericoloso cowboy
di Bush» si è augurato invece Alec Baldwin.
Rove, il «pitbull» del presidente americano, ma anche i più noti
commentatori neoconservatori, considerano Dean l'avversario ideale per far
rieleggere senza troppi patemi George W. Bush: è radicale e pacifista come
nella più pura tradizione della nicchia di sinistra del Partito democratico.
Per l'attore, invece, e per decine di migliaia di altri giovani fan, il
candidato-carneade è l'unico che può dare speranze a una base di elettori
delusi dall'establishment del partito e ancora pieni di rabbia per la vittoria
usurpata dai repubblicani nelle elezioni del 2000.
«Il fattore Dean», come lo definisce il settimanale Time, è il
fenomeno politico del momento. Gli ingredienti necessari per suscitare clamore e
attirare l'attenzione dei giornali e delle tv ci sono tutti.
Il candidato è brillante e ricco (ha vissuto fra gli agi di un
megappartamento a Park Avenue, a New York, e le piste di sci di Aspen, in
Colorado, e suo padre era un affermato banchiere), ha una professione vera (fa
il medico), ma soprattutto parla come piace al pubblico: in maniera semplice e
diretta.
Se a tutto questo si aggiunge che il suo movimento si è affermato grazie al
sito commerciale Meetup.com, dove sono organizzati i raduni politici e la
campagna di finanziamenti, allora si capisce perché tutti ne parlino, sia sulle
spiagge della costa orientale degli Hamptons sia a Malibu, in California, in
un'estate che altrimenti avrebbe come soli protagonisti i soliti Osama Bin Laden
e Saddam Hussein.
Sono già 68 mila i volontari richiamati dai tamburi della giungla di
Meetup.com. Soprattutto, attraverso internet hanno raccolto già 7,6 milioni
di dollari, un record, che, a oggi, strabatte l'autofinanziamento degli altri
candidati con un pedigree più solido: il senatore Joe Lieberman, già vice
di Al Gore nella sfortunata campagna del 2000 (3,1 milioni di dollari), John
Edwards, il politico che tanto somiglia fisicamente ai Kennedy (3,8 milioni),
il senatore John Kerry (2,5 milioni di dollari).
Buon ultimo, in una rosa formata anche da un ex ambasciatore, da due
parlamentari poco noti e da un leader del movimento dei diritti civili, è il
solito Dick Gephardt, che ci prova sempre e invariabilmente si ferma al palo.
I forti legami
politici di Israele con Washington e New York
Negli Stati uniti
Sharon ha soltanto amici
LE MONDE diplomatique - Luglio 2003
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/ultimo/0307lm10.01.html
Con la tregua unilaterale proclamata dalle
organizzazioni armate palestinesi il 28 giugno, si è accesa una flebile
speranza di pace in Medioriente. Una pace in cui gli Stati uniti, tra i
principali finanziatori di Israele, potrebbero svolgere un ruolo centrale. Ma, a
poco più di un anno dalle elezioni presidenziali statunitensi, né i
democratici, né i repubblicani, né i principali «think tank» che si occupano
di affari mediorientali vogliono infastidire la destra israeliana.
Serge Halimi
L'idea che una lobby filo-israeliana molto attiva dietro le
quinte del Congresso, l'American Israel Public Affairs Committee (Aipac),
orienti la politica americana in Medioriente è ormai pressoché tramontata.
Infatti, lascia intendere che basterebbe che tale organizzazione, forte di ben
75.000 aderenti, perda una battaglia parlamentare per provocare ipso facto il
declino della sua potenza - e di quella del governo di Gerusalemme. Ma la
situazione è ormai superata. È tutto il complesso dei poteri forti americani -
la Casa bianca, il Congresso, i due principali partiti politici, la stampa, il
cinema (1) - che ha costruito e
consolidato un sistema filo-israeliano radicato così profondamente nella vita
politica, sociale e culturale degli Stati uniti da rendere ormai pressoché
inconcepibile un suo insuccesso.
L'11 giugno 2003, mentre sembrava avviarsi un ennesimo «processo di pace»,
George W. Bush ha avuto l'ardire di dichiararsi «turbato» dagli attacchi
israeliani della vigilia contro un dirigente di Hamas.
Mal gliene incolse. L'Aipac, che peraltro ha conosciuto ben di rado alla Casa
bianca un inquilino così ben disposto nei suoi confronti, ha denunciato
immediatamente «l'imparzialità mal calcolata» dei commenti presidenziali.
Utilizzare l'esercito per proteggersi contro «una bomba a orologeria» è «giustificato
al 100%», ha precisato Robert Wexler, rappresentante democratico (e
progressista) della Florida.
«Israele non ha altra scelta se non ricorrere alla forza», dichiarava Tom
Lantos, capogruppo democratico alla Commissione affari esteri della Camera dei
rappresentanti. Anche Lantos ha fama di uomo piuttosto di sinistra, negli Stati
uniti. Il che non gli impedisce di fare da cassa di risonanza alle posizioni del
Likud. Se i palestinesi non disarmeranno i «terroristi», «allora sarà
Israele a farlo», si è spinto ad ammonire questo rappresentante della
California...
Più di quindici anni fa, nel 1987, un altro esponente del Congresso, Mervyn
Dymally, faceva osservare che un deputato della Knesset era più libero di
criticare la politica israeliana di quanto non lo fosse un parlamentare
americano (2). Negli Stati
uniti, chiunque aspiri a rivestire responsabilità nazionali ha tutto da
guadagnare a schierarsi sulle posizioni più estremiste del governo - di
qualsiasi governo - di Gerusalemme. Avrebbe tutto da perdere a fare il
contrario. Lo sanno tutti. I colpi di avvertimento ai recalcitranti sono serviti
di lezione anche agli altri.
Nel 1982 e nel 1983, due parlamentari repubblicani dell'Illinois, Paul Findley e
Charles Percy, avevano avuto la tracotanza, il primo d'incontrare Yasser Arafat,
il secondo di approvare la vendita di aerei di ricognizione Awacs all'Arabia
saudita. L'Aipac sostenne con ingenti finanziamenti la campagna dei loro
avversari. I due politici persero il loro seggio (3).
A venti anni di distanza, si è ripetuta la stessa situazione. Colpo su colpo,
nel giugno e nell'agosto 2002, prima in Alabama e poi in Georgia, due
parlamentari, questa volta democratici, Cynthia Mc Kinney e Earl Hilliard, si
sono trovati di fronte nelle primarie candidati sostenuti con grande generosità
da organizzazioni filoisraeliane. Di solito i parlamentari uscenti superano
questa tappa elettorale senza difficoltà, ma quella volta i due furono entrambi
sconfitti. Figuravano tra i ventuno temerari della Camera dei rappresentanti (21
su 435), che si erano opposti a una risoluzione...
favorevole alle rappresaglie dell'esercito israeliano contro i palestinesi
accusati di complicità collettiva con gli autori di attentati suicidi.
Hillary Clinton in altalena Nel contesto successivo all'11 settembre, la tecnica
che consente di squalificare un parlamentare insufficientemente asservito alle
tesi più intransigenti del Likud è perfettamente rodata. L'eletto intrepido (e
originale) rischia di attirare l'attenzione; taluni americani di origine araba
(o dei musulmani) gli testimonieranno la loro riconoscenza e finanzieranno la
sua prossima campagna elettorale.
Il verme si è già introdotto nel frutto... Passando al pettine l'elenco (che
deve essere reso di dominio pubblico) dei suoi donatori per individuarvi nomi
dalla consonanza terrificante, se il diavolo non ci mette la coda, vi figurerà
certamente quello di un individuo che un giorno, è stato interrogato dall'Fbi,
o che avrebbe aiutato una qualche organizzazione umanitaria palestinese,
naturalmente «legata al terrorismo». E così, la McKinney aveva «accettato
denaro di gente di cui si dice che fossero terroristi arabi». Un principe
saudita aveva offerto 10 milioni di dollari alla città di New York poco dopo
gli attentati contro il World Trade Center. Si è visto restituire con disprezzo
la sua donazione dal sindaco repubblicano dell'epoca, Rudolph Giuliani, per
l'unico motivo che il suo contributo era accompagnato da una critica della
politica americana in Medioriente. A New York, ma anche altrove, tutti prendono
le distanze da ciò che è arabo o musulmano. Eletta senatore dello stato nel
novembre 2000, mossa da ambizioni sulla Casa bianca nel 2008, Hillary Clinton
non ha tardato a capire che cosa le convenisse fare. Nel 1998 aveva espresso il
suo appoggio all'idea di uno stato palestinese. Peggio ancora, l'anno dopo aveva
commesso la terribile imprudenza di lasciarsi abbracciare dalla moglie di Arafat.
Se era un inconveniente per una First Lady, diventava un abbraccio suicida per
chiunque nutrisse ambizioni elettorali a New York. Perché, come spiega Sidney
Blumenthal, ex consigliere politico del presidente Clinton, «per vincere nello
stato un candidato democratico deve aggiudicarsi i due terzi del voto degli
ebrei di New York» (4). Inutile
dire che, nel giro di qualche settimana, Hillary Clinton ha rettificato
opportunamente alcune delle sue posizioni del passato.
Per prima cosa, si è scoperta favorevole al trasferimento dell'ambasciata
americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Era poi così urgente? Tale auspicio, un
vero e proprio tormentone della politica americana, aveva già fatto perdere a
Jimmy Carter le primarie di New York contro il senatore Ted Kennedy, fautore di
quel trasloco. Era successo nel... 1980.
In tempi più recenti, i candidati Ronald Reagan e Bill Clinton avevano a loro
volta sostenuto tale trasferimento prima di concludere due mandati a testa alla
Casa bianca senza che l'ambasciata si spostasse di un centimetro.
Rimaneva l'offesa temibile di essere stata abbracciata dalla moglie di Arafat.
Hillary vi dedica un passaggio delle assai indigeste (per quanto redditizie)
Memorie che ha appena pubblicato, intascando un anticipo di otto milioni di
dollari: «Quando la raggiunsi sul podio, la signora Arafat mi ha abbracciato,
secondo la tradizione. Se fossi stata a conoscenza delle parole detestabili che
aveva appena pronunciato, le avrei denunziate immediatamente [...]. Il mio stato
maggiore di campagna riuscì a riparare i danni» (5).
Ci sarebbero stati altri danni, quando si venne a sapere che la candidata dei
democratici aveva accettato il contributo finanziario della Muslim American
Alliance (che, in quello stesso momento, invitava a votare per George W. Bush
alle elezioni presidenziali ...). Il denaro impuro fu restituito seduta stante.
Hillary si profuse in scuse per non essere stata più accorta.
Difficile immaginare un'analoga intransigenza quando si tratta dei sostenitori
più attaccabrighe di Ariel Sharon. Che dirigenti fondamentalisti descrivano
l'islam come «diabolico e storto», il suo profeta come un «fanatico dagli
occhi stralunati», o addirittura un «pedofilo posseduto dal diavolo», che
alcuni di questi fondamentalisti abbiano approvato gli attentati «terroristi»?
contro i medici che praticavano l'aborto (sette morti dal 1993 ad oggi), che
incoraggino le discriminazioni contro gli omosessuali, che sognino addirittura
un secondo avvento del Messia che preluderebbe alla conversione o allo sterminio
degli ebrei (6), provoca
soltanto un minimo imbarazzo ad Abraham Foxman, direttore nazionale della
Anti-Defamation League. Ci spiega: «Gli ebrei americani non devono scusarsi
quando si impegnano a rafforzare l'appoggio della destra cristiana a Israele.
Israele assediato ne ha bisogno. E questo appoggio è al tempo stesso enorme,
costante e incondizionato» (7).
Una tale asimmetria anti-araba è teorizzata dall'establishment americano.
«C'è una differenza - spiegava Rudolph Giuliani - tra una democrazia, uno
stato di diritto, quali che siano le sue imperfezioni, e una dittatura costruita
sul principio del terrorismo» (8).
In nome della «chiarezza morale» che imporrebbe la lotta contro il terrorismo,
è quindi vietato a un funzionario americano, fosse anche il presidente degli
Stati uniti, pretendere una qualche concessione dal governo israeliano.
Quando Bush è avanzato di un millimetro in tale direzione, il direttore
editoriale del Wall Street Journal, gli intellettuali neoconservatori William
Kristol e Robert Kagan, l'ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu
(onnipresente sulle televisioni americane quanto un annunciatore delle
previsioni del tempo) e il senatore democratico e candidato alla Casa bianca
Joseph Lieberman gli hanno rimproverato immediatamente una perdita di «chiarezza
morale». Falco in un'amministrazione di falchi il cui leader ha definito Ariel
Sharon «uomo di pace», perfino a Paul Wolfowitz è riuscito di farsi fischiare
a Washington da una folla filoisraeliana. Alla tribuna dove si erano alternati
Giuliani, Hillary, Richard Gephardt, leader democratico alla Camera dei
rappresentanti, John Sweeney, presidente dell'Afl-Cio, aveva avuto
l'inverosimile sfacciataggine di evocare la necessità di uno stato per i «palestinesi
innocenti che soffrono e che muoiono anche loro» (9).
In un momento in cui le elezioni presidenziali del novembre 2004 condizionano
ogni mossa, George W. Bush si affida per la massima parte delle sue decisioni al
consigliere politico Karl Rove. È lui che mette a punto ogni discorso del Capo
dello stato; hanno fatto insieme il viaggio in Medioriente nel maggio scorso.
Non meno cinico dei suoi colleghi consiglieri della comunicazione (10),
Rove ha osservato che le elezioni erano «fatte completamente di elementi visivi
- suggerendo al presidente - Lei deve fare campagna come se l'America guardasse
la televisione senza il sonoro» (11).
Avendo già in tasca l'elettorato militarista, sarebbe opportuno che il
presidente degli Stati uniti si facesse passare anche per l'uomo della pace.
Qualche simpatica immagine di stretta di mano a Camp David o altrove non farebbe
male.
La posizione politica di Bush sembra a priori abbastanza solida da consentirgli
qualche mossa ardita in Medioriente. La destra religiosa voterà a suo favore,
anche se bacchetta una volta all'anno il suo adorato Sharon. Per quanto riguarda
l'elettorato ebraico (circa il 4% del totale), è importante soprattutto in
alcuni stati (a parte la Florida) considerati già in mano ai democratici (New
York, California, Massachusetts). Tuttavia, come ricordano i biografi di Rove
(sono appena usciti due libri a lui dedicati, ed entrambi evocano nel titolo «il
cervello di Bush» ...) «in una nazione divisa in parti così uguali, come è
avvenuto alle ultime elezioni presidenziali, Rove non è disposto a prendere in
considerazione una politica che potrebbe far perdere voti. Quando è a favore di
un cambiamento di rotta, lo è perché prevede che la nuova posizione sarà più
utile al presidente, ai repubblicani e alla causa conservatrice» (12).
Essere utili alla causa, vuol dire anche scalfire la base dell'avversario.
È già verosimile che Bush andrà meglio l'anno prossimo con l'elettorato
ebraico che non nel novembre 2000 (quando aveva ottenuto il 19% dei voti contro
il 78% a favore di Al Gore). Ma, negli Stati uniti, la prima delle elezioni
continua ad essere la primaria dei dollari.
E là, il potenziale repubblicano è immenso: il 21% del totale delle donazioni
e la metà dei contribuenti individuali del partito democratico sono ebrei,
spesso i più filo israeliani (per il partito repubblicano, sono appena il
2,5%). Già ora, la prossima campagna di Bush sarà coperta d'oro (la riduzione
delle imposte a qualcuno piacerà ...).
Il vantaggio finanziario dei repubblicani diventerà gigantesco, se per giunta
Rove riuscirà a far vacillare una delle colonne fondamentali della base
contributiva del partito democratico. Dopo l'11 settembre, si dà molto da fare.
A quanto pare, non senza successo (13).
A questo punto del gioco, le convinzioni filo-Likud di alcuni neoconservatori
citati incessantemente diventano secondarie; la preoccupazione di personalizzare
i politici e la pigrizia mimetica della stampa spiegano almeno in parte
l'impatto loro attribuito. Fondamentalmente, è tutto l'insieme delle variabili
politiche, sociali, religiose e mediatiche americane a confortare gli obiettivi
dei falchi israeliani. L'azione della lobby» è reale, ma si limita a
strutturare ed organizzare forze che comunque si schierano spontaneamente. Dopo
l'11 settembre 2001, tali forze non sono mai state più contrarie ai progetti
dei palestinesi.
E questo Ariel Sharon lo sa benissimo.
note:
(1) Secondo Harper's (dicembre 1998),
il 95% dei film che rappresentavano un protagonista arabo ne facevano un uomo
cupido, violento o disonesto.
E questo, prima dell'11 settembre...
(2) The New York Times, 7 luglio 1987.
L'ultra-conservatore Patrick Buchanan ha addirittura paragonato il Congresso a
un «territorio israeliano occupato».
(3) Uno dei due, Paul Findley, ha
raccontato la sua avventura in They Dare to Speak out, Lawrence Hill, New York,
1983.
(4) Sidney Blumenthal, The Clinton Wars,
Farrar Straus e Giroux, New York, 2003, p. 682.
(5) Il racconto che l'autrice ci fa
delle trattative di Camp David del giugno 2000-gennaio 2001 è una perfetta
fotocopia delle tesi israeliane.
(6) Si legga Ibrahim Warde, «Non ci
sarà pace prima dell'avvento del Messia», Le Monde diplomatique/il manifesto,
settembre 2002.
(7) Abraham Foxman, «Why evangelical
support for Israel is a good thing», Jta.org,16 luglio 2002,
www.adl.org/Israel/evangelical.asp.
(8) Citato da The New York Times, 28
febbraio 1999.
(9) Si legga David Corn, Searching for
«Moral Clarity»», The Nation, 23 aprile 2002.
(10) Si legga «Consulenti elettorali
made in Usa», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1999.
(11) James Moore e Wayne Slater,
Bush's Brain: How Karl Rove Made George W. Bush Presidential, John Wiley &
Sons, Hoboken (NJ), 2003, p. 273.
(12) Ibidem, p. 286 e 294.
(13) Si legga Thomas Edsall, «Pledging
allegiance to Bush: the Gop hopes pro-Israel policies translate into Jewish
votes», The Washington Post National Weekly Edition, 6 maggio 2002.
(Traduzione di R. I.)
Incontro Hollywood-Casa Bianca
nessuna decisione, ma comunanza d'intenti
http://www.cnnitalia.it/2001/MONDO/nordamerica/11/12/hollywood/
12 novembre 2001
Articolo messo in Rete alle 12:23 ora italiana (11:23 GMT)
LOS ANGELES (CNN) --
I rappresentanti dei maggiori studi cinematografici e
televisivi e dei teatri di Hollywood hanno incontrato domenica una delegazione
della Casa Bianca per stabilire come l'industria dell'intrattenimento possa
contribuire alla guerra contro il terrorismo. Nessuna decisione concreta è
stata presa in seguito all'incontro, che è comunque stato definito da entrambe
le parti un "vivace scambio di idee".
A dispetto delle relazioni spesso contrastate fra il mondo dello spettacolo e
il mondo politico, c'è stata unità d'intenti, ha spiegato nella conferenza
stampa seguita all'incontro il presidente della 'Motion Picture Association of
America' Jack Valenti.
Tema dell'incontro, ha spiegato ancora Valenti, è stato "il contributo
che l'immaginazione creativa di Hollywood e la sua abilità persuasiva può dare
allo sforzo della guerra, in modo che un giorno gli americani possano di nuovo
condurre vite normali". Valenti è stato consigliere del presidente Lyndon
Johnson negli anni '60.
Sia Valenti che il consigliere della Casa Bianca Karl Rove, che ha preso
parte all'incontro con i rappresentanti delle case cinematografiche, hanno detto
chiaramente che sarà Hollywood a prendere in autonomia le decisioni su come
contribuire alla guerra e che la Casa Bianca non sta chiedendo all'industria
dello spettacolo di prestarsi a fare propaganda.
"Il mondo è pieno di gente in grado di comprendere, e noi riconosciamo
che l'informazione concreta, comunicata con onestà, precisione e integrità è
importante per il successo ultimo in questo conflitto", ha detto Rove.
"Non sono stati menzionati contenuti - ha aggiunto Valenti - la Casa
Bianca e i suoi rappresentanti non hanno detto niente su questo perché sapevano
che non è l'argomento di cui discutere. Direttori, sceneggiatori, produttori e
studi stabiliranno il tipo di immagini da scegliere per le storie che intendono
raccontare".
I capi dei più importanti studi cinematografici di Hollywood e i
rappresentanti di produzioni televisive e dei teatri erano presenti in questa
riunione, insieme a sceneggiatori, direttori e attori.
I temi che stanno a cuore alla Casa Bianca, e che Hollywood potrebbe
contribuire a diffondere, sono: - La campagna antiterrorismo non è una guerra
contro l'Islam; - C'è la possibilità di una chiamata alle armi per gli
americani; - Le truppe statunitensi e le loro famiglie hanno bisogno di
sostegno; - Gli attentati dell'11 settembre sono stati un attacco contro la
civiltà e richiedono una risposta globale; - I bambini hanno bisogno di essere
rassicurati sulla loro salvaguardia e sicurezza, all'indomani degli attentati; -
La campagna militare antiterrorismo è una guerra contro il male.
Tuttavia l'incontro di domenica non ha messo a punto neanche l'inizio di una
strategia con la quale Hollywood potrebbe mettere a punto questi obiettivi, è
stato anzi definito "l'inizio dell'inizio" degli sforzi che
l'industria dello spettacolo potrebbe compiere.
Le idee elencate includono la produzione di una serie di spot che potrebbero
essere distribuiti negli Stati Uniti e anche all'estero, ma anche video delle
truppe impegnate nella lotta al terrorismo. Inoltre le star di Hollywood
potrebbero essere incoraggiate a partecipare agli show destinati ai militari.
Gli
Stati Uniti: una nazione governata da multinazionali e multimilionari
di Russ Kick, dal
libro: “Tutto quello che sai è falso. Manuale dei segreti e delle bugie”,
edito da Nuovi Mondi Media
http://www.disinformazione.it/lobbistiusa.htm
Gli Stati Uniti sono
governati da ex dirigenti di alto livello, molti dei quali sono multimilionari.(1)
Il Presidente, il Vice Presidente, undici membri del Consiglio dei Ministri (su
quattordici), numerosi membri a livello di Gabinetto, alcuni funzionari e
consiglieri della Casa Bianca e una miriade di vice ministri e capi di
dipartimento dispongono di patrimoni milionari, spesso del valore di decine di
milioni. Molti altri hanno raggiunto posizioni di alto livello in grandi
multinazionali, sebbene non dispongano di patrimoni a sei o sette zeri.
Secondo
un'accurata analisi del Center for Public Integrity: "la media del
patrimonio netto dei 15 principali collaboratori di Bush, incluso il Presidente
e il Vice Presidente, e' tra i 9.900.000 e i 28.900.000 dollari". Il
totale di questi patrimoni va dai 148 milioni ai 434 milioni di dollari. Se si
calcola il patrimonio medio netto del primi 100 funzionari dell'amministrazione,
si ottiene una cifra tra 3.700.000 dollari e 12.000.000 dollari.(2)
Spesso purtroppo questi politici-dirigenti esercitano un'influenza diretta su
questioni relative alle aziende che un tempo conducevano, dirigevano, per le
quali erano consulenti, sulle quali facevano pressione e delle quali possedevano
le azioni in borsa. Il Center for Public Integrity ha riportato:
"complessivamente, 22 dei 100 principali collaboratori di Bush detenevano
quote azionarie significative nelle 33 compagnie che influenzavano i loro
dipartimenti, le loro agenzie o i loro uffici."(3) Di seguito riportiamo
l'elenco dei funzionari e delle multinazionali di provenienza. Alla fine di ogni
voce vengono riportati i patrimoni dei funzionari, come dalle dichiarazioni di
reddito registrate al momento dell'assunzione della carica.(4)
GEORGE
W. BUSH, Presidente.
Socio
fondatore della compagnia petrolifera Arbusto, che fu in procinto di dichiarare
fallimento quando venne incorporata dalla Spectrum 7. La Harken Energy acquistò
la Spectrum nel 1986 e inserì Bush nel consiglio di amministrazione. (Bush
vendette la maggior parte delle azioni della compagnia subito prima della
cessazione dell'attività dovuta a un bilancio terribilmente negativo.) Ex
comproprietario della quadra di baseball dei Texas Rangers. (Facendo affidamento
sul potere del suo nome e su operazioni lucrose e sporche, ha tratto un profitto
di 14.900.000 dollari nella vendita delle azioni della squadra otto anni dopo,
mentre era Governatore del Texas, con un guadagno del 2.800 percento sul suo
investimento originale di 500.000 dollari.) Patrimonio: fino a 27.000.000 di
dollari.(5) Richard Cheney, Vice Presidente. Ex CEO della Halliburton Co. Cheney
ha guidato il gigante petrolifero e chimico al banchetto federale,
consentendogli di divorare fino a 3,8 miliardi di dollari di patrimonio
aziendale. Senza dimenticare che "la Halliburton, attraverso le affiliate
europee, vendeva componenti di ricambio all'industria petrolifera irachena,
nonostante le sanzioni dell'ONU".(6) Cheney ha inoltre spinto diplomatici
USA a esercitare pressioni sui governi e sulle compagnie straniere a favore
della Halliburton.(7) è stato anche membro del consiglio direttivo della
Procter & Gamble, della Union Pacific e dell'American Petroleum Institute.
Patrimonio: 19.300.000 - 81.700.000 dollari.
JOHN
ASHCROFT, Procuratore Generale.
Ashcroft non ha lavorato in una multinazionale, ma ha ricevuto generose
donazioni politiche da Enron, Monsanto, AT&T, Microsoft, Schering-Plough e
altre. Nonostante abbia ricoperto funzioni pubbliche per la maggior parte della
sua vita (compresa l'attività temporanea d'insegnamento di diritto commerciale
alla Southwest Missouri State University di Springfield, Illinois, che utilizzò
per evitare l'arruolamento in Vietnam(8), il suo patrimonio è pari a 1.100.000
- 3.300.000 dollari.
DONALD
RUMSFELD,
Ministro della Difesa.
Ex CEO della General Instrument Corp. e del gigante farmaceutico G.D. Searle
& Co. In precedenza membro dei consigli direttivi di Amylin Pharmaceuticals,
Asea Brown Boveri, Rand Corp., Kellogg, Sears, Allstate, Gilead Sciences,
Tribune Company e Gulfstream Aerospace, nonché del comitato consultivo della
Salomon Smith Barney. Patrimonio: 61.000.000 - 242.500.000 dollari.
PAUL
WOLFOWITZ, Vice Ministro della Difesa.
Ex co-presidente del consiglio di amministrazione della Hughes Electronics. Ex
consulente per BP-Amoco e Northrop Grumman. Ex membro del consiglio direttivo
della Hasbro and Dreyfus. Patrimonio: fino a 385.000 dollari.
EDWARD
C. ALDRIDGE JR., Sottosegretario alla Difesa per le acquisizioni,
la tecnologia e la logistica.
Fondatore della Aerospace Corporation (entrate nel 2000: 350.000 dollari).
Patrimonio: fino a 3.700.000 dollari.
COLIN
POWELL, Segretario di Stato.
Ex membro del consiglio direttivo di America Online e Gulfstream Aerospace. Ha
ricevuto 100.000 dollari per ogni discorso tenuto per dozzine di multinazionali.
Patrimonio: 19.500.000 - 68.900.000 dollari. Richard Armitage, Vice Segretario
di Stato. Fondatore della società di consulenza Armitage Associates; i clienti
includevano Boeing, Goldman Sachs, Chase Manhattan e l'affiliata della
Halliburton Brown & Root. Ex membro del consiglio direttivo di Mantech
International e Raytheon. Ha investito milioni di dollari nella Pfizer and Chase.
Patrimonio: 19.800.000 - 58.900.000 dollari.
PAUL
O'NEILL, Ministro del Tesoro.
Ex CEO della ALCOA (il più grande produttore di alluminio del mondo) e della
International Paper Co. Ex membro del consiglio direttivo di Eastman Kodak e
Lucent Technologies. In un'intervista rilasciata al prestigioso Financial Times,
O'Neill ha dichiarato che le multinazionali non dovrebbero pagare le tasse.(9)
Patrimonio: 62.800.000 - 103.300.000 dollari.
KENNETH
DAM, Vice Ministro del Tesoro.
Ex vice presidente della IBM. Ex membro del consiglio direttivo di Alcoa.
Patrimonio: fino a 50.000.000 di dollari.
TOMMY
THOMPSON, Ministro dei Servizi Umani e Sanitari.
"L'ex governatore del Wisconsin fu costretto a vendere le azioni dei
farmaceutici Merck e Abbott Laboratories una volta confermato Ministro dei
Servizi Umani e Sanitari. Ma avrebbe mantenuto azioni per 15.000-50.000 dollari
dell'AOL Time Warner e della General Electric poiché non comportavano conflitto
di interesse... Prevede di continuare il suo ruolo di presidente nel consiglio
di amministrazione della Amtrak pur essendo in carica come ministro della sanità."(10)
Patrimonio: 1.300.000 - 3.400.000 dollari.
NORMAN
Y. MINETA, Ministro dei Trasporti.
Ex vice presidente della Lockheed Martin Corp., la maggiore compagnia
statunitense di appalti per la Difesa. Dal 1980 la Lockheed (o in una delle sue
vesti precedenti) ha versato donazioni a Mineta durante tutte le tornate
elettorali. Nel 1995 egli ha lasciato la Camera dei Deputati a metà mandato per
prestare servizio presso la multinazionale. Patrimonio: 204.000 - 592.000
dollari.
MICHAEL
P. JCKSON, Vice Ministro dei Trasporti.
Un ex vice presidente della Lockheed Martin. (Con le nomine di Mineta e Jackson,
per la prima volta le due principali posizioni al Dipartimento dei Trasporti
vengono assegnate a funzionari di una stessa compagnia. "I rapporti sul
lobbismo analizzati dal The Public mostrano che la Lockheed Martin ha esercitato
la sua influenza sul Dipartimento dei Trasporti in ogni periodo esaminato degli
scorsi cinque anni."(11) Patrimonio: fino a 800.000 dollari.
ELAINE
CHAO, Ministro del Lavoro.
Un ex vice presidente della Bank of America e ex membro del consiglio direttivo
di Northwest Airlines, Dole Food, Clorox e Columbia/HCA Health Care. Patrimonio:
2.300.000 - 5.400.000 dollari.
GALE
NORTON, Ministro degli Interni.
"Avvocato per Brownstein Hyatt & Farber, Norton ha rappresentato
legalmente la Delta Petroleum e esercitato pressioni politiche a favore della NL
Industries, sottoposta ad azione legale per esposizione di minori al minio."(12)
Patrimonio: 207.000 - 680.000 dollari. J. Steven Griles, Vice Ministro degli
Interni. Ex vice presidente di National Environmental Strategies, una lobby di
aziende pubbliche, minerarie e petrolifere. Ex vice presidente senior della
United Company, che opera in progetti di sviluppo minerario, petrolifero e
energetico, nonché nell'estrazione dell'oro e nel mercato immobiliare.
Patrimonio: fino a 510.000 dollari.
RODERICK
PAIGE, Ministro dell'Educazione.
Come sovrintendente delle scuole di Houston, in Texas, ha privatizzato il
sistema, concedendo appalti a multinazionali come Peoplesoft e Coca-Cola.
Patrimonio: 1.100.000 - 2.900.000 dollari.
SPENCER
ABRAHAM, Ministro dell'Energia.
Durante il suo unico mandato da Senatore, Abraham è stato il principale
destinatario di donazioni dell'industria automobilistica, incluse la GM (89.550
dollari), la Ford Motor Co. (70.800 dollari) e la DaimlerChrysler (48.850
dollari). Patrimonio: 164.000 - 464.000 dollari.
FRANCIS
S. BLAKE, Vice Ministro dell'Energia.
Ex vice presidente della General Electric. Patrimonio: 11.250.000 - 48.000.000
dollari.
ROBERT
G. CARD, Sottosegretario dell'Energia.
Finché Bush lo ha mantenuto nella posizione, è stato CEO e presidente della
Kaiser-Hill Co., "una società per la bonifica di scorie nucleari multata
per oltre 725.000 dollari per violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro,
lenocinio e altre violazioni sin dal 1996". Prima di allora, era vice
presidente della CH2M Hill Cos., "un gruppo di progettazione e consulenza
edilizia con sede a Denver che fu scoperto all'inizio degli anni '90 aver
incassato 5 milioni di dollari dal governo federale per spese extra improprie."(13)
Patrimonio: fino a 7.300.000 dollari.
ANNE
VENEMAN, Ministro dell'Agricoltura.
Precedentemente presso uno studio legale di giganti agroalimentari e
multinazionali di biotecnologia. Ex membro del consiglio direttivo della Calgene
Inc., una filiale della Monsanto, compagnia di biotecnologie che sviluppa
colture geneticamente modificate, forme di vita brevettate, ormoni della
crescita per i bovini, agent orange e DDT. Patrimonio: 680.000 - 2.000.000
dollari.
DONALD
EVANS, Ministro dell'Industria e del Commercio.
Ex presidente e CEO della Tom Brown, una compagnia petrolifera ed energetica da
1.300.000.000 di dollari. Ex membro del consiglio direttivo della TMBR/Sharp
Drilling, una compagnia di trivellazione di petrolio e gas. Patrimonio: fino a
45.100.000 dollari.
SAMUEL
W. BODMAN, Vice Ministro dell'Industria e del Commercio.
Ex presidente e CEO della Cabot Corporation (entrate del 2001: 1.300.000.000
dollari). Ex membro del consiglio direttivo del Security Capital Group.
Proprietario della Bay Pond Partners L.P., una società di investimenti.
Patrimonio: fino a 164.700.000 dollari.
ANTHONY
PRINCIPI,
Ministro per i Reduci di Guerra. Ex presidente di QTC Medical Services, Inc.
e di Federal Network. Anche ex CEO della Lockheed Martin. Patrimonio: 1.500.000
- 3.400.000 dollari.
LINDA
FISHER, Vice direttore dell'Agenzia per l'Ambiente.
Ex vice presidente e dirigente della Monsanto. Patrimonio: fino a 8.000.000 di
dollari.
KARL
ROVE, Primo Consigliere del Presidente.
L'Associated Press riferisce che sebbene abbia ceduto azioni per milioni di
dollari al momento di entrare in carica, "Rove continuerà a possedere fino
a 1.100.000 dollari in fondi d'investimento."(14) Patrimonio: fino a
5.000.000 di dollari.
CONDOLEEZA
RICE, Consigliere per la Sicurezza Nazionale.
Precedentemente nel consiglio direttivo di Chevron, J.P. Morgan e Charles Schwab.
Una petroliera della Chevron porta il suo nome. Patrimonio: fino a 2.200.000
dollari.
NICHOLAS
CALIO, Direttore per gli Affari Legislativi alla Casa Bianca.
Ex vice presidente senior della National Association of Wholesaler-Distributors.
Ex lobbista per un produttore di sistemi di scarico automobilistici e per la
Arco, che, finché non fu acquistata dalla BP, era "una delle maggiori
compagnie petrolifere del paese e quella con più stretti legami con la famiglia
Bush."(15) (Il principale collaboratore di Calio, Kirsten Ardleigh
Chadwick, e' anch'egli un ex lobbista che aveva talvolta collaborato con lui.)
Patrimonio: 1.400.000 - 4.100.000 dollari.
ANDREW
CARD,
Capo di Gabinetto alla Casa Bianca.
Ex CEO dell'American Automobile Manufacturers Association. Ex dirigente lobbista
per la General Motors. Patrimonio: 810.000 - 2.100.000 dollari.
LAWRENCE
LINDSEY,
Consigliere del Presidente per l'Economia.
Ex membro del consiglio direttivo della Enron e della General Motors Acceptance
Corp. Ha fornito consulenze a dozzine di compagnie, incluse BMW, Citibank, Paine
Webber, Banco Sao Paulo e Hong Kong and Shanghai Bank. Patrimonio: fino a
575.000 dollari. Joshua Bolten, Vice Capo dello Staff per l'Economia. Ex
dirigente della Goldman Sachs International per la filiale di Londra.
Patrimonio: fino a 2.600.000 dollari.
CLAY
JOHNSON, Direttore del Personale Presidenziale.
Ha diretto alcune divisioni della Citicorp e della PepsiCo. Patrimonio: fino a
7.000.000 dollari.
MITCHELL
DANIELS, Direttore dell'Ufficio del Bilancio.
Ex vice presidente senior della Eli Lilly and Company. Patrimonio: 18.000.000 -
75.300.000 dollari.
ROBERT
ZOELLICK, Rappresentante per il Commercio USA.
Ex consigliere della Enron. Patrimonio: 3.300.000 - 13.000.000 dollari.
ROBERT
HUBBARD, Presidente del Council of Economic Advisors.
Ex
consulente per AT&T, PriceWaterhouseCoopers e altre. Patrimonio: fino a
7.200.000 dollari.
HARVEY
PITT,
Presidente della Securities and Exchange
Commission. Come
avvocato ha rappresentato i Lloyd's of London, il New York Stock Exchange e
tutte le società finanziarie delle "Big Five". Ha esercitato
l'avvocatura prima di entrare nella SEC. Coautore di una pubblicazione di
diritto che conteneva suggerimenti per la distruzione di documenti
compromettenti delle multinazionali.(16) Patrimonio: fino a 9.400.000 dollari.
MICHAEL
K. POWELL, Presidente della Federal Communications Commission.
Come membro dello studio legale O'Melveny & Myers, il figlio di Colin Powell
ha prestato servizio per il gigante delle telecomunicazioni GTE, che si trasformò
in Verizon dopo la fusione con Bell Atlantic. "Il portavoce della FCC David
Fiske ha riferito al The Public che, come presidente della FCC, Powell non si è
mai sottratto agli impegni relativi alla GTE o Verizon, compresa la fusione
portata a termine nel 2000."(17) Patrimonio: fino a 50.000 dollari (una
cifra irrisoria che desta sospetti).
JOHN
WALTERS, Direttore dell'Office of National Drug Control Policy.
Lo
"Zar anti-droga" nazionale possiede azioni della Eli Lilly e della
Pfizer, due giganti farmaceutici. Patrimonio: fino a 560.000 dollari.
DONALD
POWELL, Presidente della Federal Deposit Insurance Corporation.
Ex presidente e CEO della Tejas Bancshares. Ex membro del consiglio direttivo
dell'American Bank of Commerce. Patrimonio: fino a 49.000.000.
GORDON
ENGLAND, Ministro della Marina Militare.
Ex vice presidente esecutivo della General Dynamics, una società di appalti
della Difesa.
JAMES
G. ROCHE, Ministro dell'Aeronautica Militare.
Ex vice presidente della Northrop Grumman, una società di appalti della Difesa.
THOMAS
WHITE, Ministro dell'Esercito.
Ha occupato posizioni di alto livello alla Enron, per esempio come vice
presidente della Enron Energy Services, presidente e CEO della Enron Operations
Corporation; era inoltre membro del Comitato Esecutivo della Enron. Patrimonio:
50.000.000 - 100.000.000 dollari (per la maggior parte in azioni Enron, il cui
valore dovrebbe essere al momento pressoché azzerato, a meno che non abbia
venduto le azioni prima del fallimento).
RICHARD
PARSONS, Co-Presidente della Social Security Commission.
Attuale amministratore delegato di AOL Time Warner. La sua nomina a CEO della
compagnia era prevista per il 2002.
WILLIAM
BAXTER, Direttore della Tennessee Valley Authority.
Ex CEO della Holston Gases. Patrimonio: fino a 25.500.000 dollari.
MARC
RACICOT, Presidente del Partito Repubblicano.
Un lobbista che "rappresenta direttamente le controverse compagnie
energetiche Enron, American Forest and Paper Association, Burlington Northern
Santa Fe, National Energy Coordinating Council, Recording Industry Association
of America e Quintana Minerals", secondo la ricerca del Center for Public
Integrity. Racicot ha dichiarato che continuerà a curare gli interessi delle
multinazionali durante la dirigenza del Partito Repubblicano, con l'approvazione
di Bush. Benché non sia tecnicamente un funzionario di governo, Racicot si
incontra regolarmente con il Presidente, con il Vice Presidente, con i membri
del Congresso e del Partito Repubblicano al Senato e alla Casa Bianca.
L'Amministrazione
Enron.
Mentre questo libro va in stampa in America, la Enron ha di recente dichiarato
fallimento, minacciando di trascinare con sé i suoi partner ó
l'Amministrazione Bush e molti altri funzionari statali e federali. Poiché le
indagini congressuali e le due inchieste ufficiali sono ancora in corso, quello
che sappiamo al momento e' sicuramente poca cosa in confronto a ciò che ben
presto apprenderemo. Possiamo però dare uno sguardo ai funzionari che sappiamo
far parte della squadra Enron. Il primo consigliere economico di Bush, Lawrence
Lindsey, e il rappresentante per il commercio Robert Zoellick erano consiglieri
della Enron. Il Vice Presidente Cheney ha impedito all'Ufficio Generale del
Bilancio del Congresso di sapere quali funzionari si incontrarono con lui
durante alcuni incontri segreti sulle politiche energetiche, ma alla fine,
sottoposto a pressioni, ha dovuto ammettere che l'amministratore delegato della
Enron, Kenneth Lay, si era incontrato con lui o con i suoi collaboratori per sei
volte. L'ultimo incontro si era svolto appena una settimana prima che la Enron
annunciasse di essere sprofondata nel baratro. Prima di quell'annuncio, Lay
avvertì il Ministro del Tesoro Paul O'Neill, il Ministro del Commercio Don
Evans e il Presidente della Federal Reserve Board Alan Greenspan. Il Financial
Times riferì che il presidente della Enron, Greg Whalley, aveva avuto dalle sei
alle otto conversazioni telefoniche con il Sottosegretario del Tesoro Peter
Fisher, chiedendogli di evitare che le banche tartassassero la Enron. Inoltre,
"Robert Rubin, Ministro del Tesoro durante l'Amministrazione Clinton e
attualmente uno dei principali dirigenti del creditore Citigroup, contattò
anche Fisher per discutere dell'intervento con le agenzie di credito." In
ogni caso, i funzionari di governo contattati insistettero che non si erano
prodigati per aiutare la Enron.(18)
Non e' una novità, comunque. Nel 1997, la Enron era ansiosa di entrare nel
mercato della Pennsylvania, quindi Lay chiese a Bush, allora Governatore del
Texas, di parlare con il Governatore della Pennsylvania Tom Ridge. Bush gli parlò
e l'affare fu concluso.(19) (In seguito Bush nominò Ridge come Ministro della
Sicurezza Interna.) La Enron aveva persino unto il Presidente Clinton. Clinton
aveva aiutato la compagnia ad aprire il suo stabilimento da 3 miliardi di
dollari in India; giorni prima della conclusione della trattativa, la Enron offrì
100.000 dollari ai Democratici.(20)
Quattordici alti funzionari possiedono o possedevano azioni della Enron. Il
consigliere senior Karl Rove e il Sottosegretario di Stato Charlotte Beers hanno
dichiarato di possedere la azioni più alte, di un valore pari a 100.001 -
250.000 dollari. Di 15.001 - 50.000 dollari erano quelle del Vice Direttore
dell'EPA Linda Fisher, del Vice Rappresentante del Commercio Linnet Deily, del
Sottosegretario al Commercio Grant Aldonas, del Rappresentante del Commercio USA
Robert Zoellick e del Consigliere del Presidente per le Comunicazioni Margaret
Tutweiler. Alcuni di essi, ma non tutti, hanno venduto le azioni prima di
assumere l'incarico.(21)
Per quanto riguarda la corruzione legalizzata delle donazioni, si tratta di una
triste storia. Durante le campagne presidenziali dal 1989 al 2001, la Enron offrì
a George W. Bush 113.800 dollari, a Bob Dole 95.650 dollari, ad Al Gore 13.750
dollari e a Bill Clinton un magro bottino di 11.000 dollari. La compagnia e i
suoi pezzi grossi hanno sborsato la sbalorditiva somma di 300.000 dollari per il
fondo inaugurale di Bush e Cheney. Durante il mandato di Bush come Governatore
del Texas, la Enron gli riempì le tasche con 146.500 dollari. Il soprannome del
più generoso benefattore di Bush è "Kenny Boy." Nel 1992,
l'autorevole Investor's Business Daily osservò che "di recente, Lay ha
trasformato la Enron nel baluardo aziendale del GOP (Grand Old Party)".
Sebbene la Enron appoggiasse i Repubblicani, finanziava i funzionari di entrambe
i partiti. Secondo una ricerca del Center for Public Integrity:
"Ventiquattro tra i principali dirigenti e membri del consiglio direttivo
della Enron Corp. hanno finanziato con circa 800.000 dollari i partiti politici
nazionali, il Presidente Bush, i membri del Congresso e le indagini sulle
possibili frodi. Inoltre, la Enron ha eseguito finanziamenti ai partiti per
1.900.000 dollari durante lo stesso periodo 1999-2001." 71 su 100 membri
attuali del Senato hanno ricevuto in totale oltre mezzo milione di dollari di
contributi dalla Enron (41 Repubblicani, 29 Democratici e un indipendente). Il
43 percento dei membri alla Casa Bianca (117 Repubblicani e 71 Democratici) sono
stati sovvenzionati dalla compagnia.
Il principale funzionario della Giustizia, il Procuratore Generale John Ashcroft,
non può neanche condurre l'inchiesta ufficiale sulla compagnia per quanto sono
elevate le somme ricevute dalla Enron (la bella cifra di 57.499 dollari per la
sua mancata elezione al Senato nel 2000, la cui campagna è fallita
clamorosamente). Ashcroft ha quindi affidato le indagini nelle mani del Vice
Procuratore Generale Larry Thompson. Il problema e' che Thompson è stato socio
per quindici anni dello studio legale che ha rappresentato la Enron in numerose
questioni. Thompson non ha ancora rinunciato all'incarico. Il Procuratore
Generale del Texas John Cornyn, tuttavia, poiché la sua cassaforte e' piena dei
soldi della Enron, si è dimesso dall'indagine.
Lo studio contabile della Enron, Arthur Andersen, (quello che distruggeva i
documenti compromettenti) ha versato consistenti donazioni a funzionari del
governo. Dopo aver rovistato tra le scartoffie, i segugi del Center for
Responsive Politics hanno rivelato sul loro sito web che l'Andersen aveva
offerto a Bush quasi 146.000 dollari per la sua scommessa presidenziale e che il
capo dell'ufficio dell'Andersen di Houston era il "Pioniere" di Bush,
avendogli versato circa 100.000 dollari. "Dal 1989, lo studio Andersen ha
contribuito con quasi 5 milioni di dollari tra finanziamenti ai partiti, PAC [political
action committee] e donazioni individuali ai candidati federali e ai partiti, a
favore di oltre i due terzi dei Repubblicani", ha rivelato il CRP.
"Mentre le donazioni della Enron riguardavano maggiormente grossi
finanziamenti ai partiti politici nazionali, la generosità dello studio
Andersen era spesso diretta ai membri del Congresso. A esempio, oltre la metà
degli attuali membri della Camera dei Deputati hanno ricevuto denaro dalla
Andersen per tutto il decennio scorso. Al Senato, 94 dei 100 membri sono
risultati destinatari dei contributi dell'Andersen dal 1989."
Note
1.
La maggior parte delle informazioni in questo capitolo provengono dai siti web
del Center for Public Integrity <www.publicintegrity.org>; la sezione
d'indagine, Public i <www.public-i.org>; e il Center for Responsive
Politics <www.opensecrets.org>. Di particolare utilita' e' il database
online di Public i dei dati fiscali e i legami con le multinazionali dei 100
principali membri dell'Amministrazione Bush <www.public-i.org/cgi-bin/whoswhosearch.asp>.
Questa fonte e' assolutamente consigliata. Altre informazioni provengono dai
moduli dei dati fiscali depositati all'Office of Government Ethics, come
riportato da Wall Street Journal , Associated Press, Daily Telegraph (Londra) e
da altre fonti; PoliticsandElections.com (sito web creato e gestito da Kathleen
Thompson Hill e Gerald Hill, co-autori di The Facts on File Dictionary of
American Politics e numerosi altri testi di politica e legge); le biografie
ufficiali dei funzionari sono fornite dai siti web governativi. 2.
Wetherell, Derrick. "Snapshot of Professional and Economic Interests
Reveals Close Ties Between Government, Business", Public i (Center for
Public Integrity) 14 Gennaio 2002. 3.
Ibid. 4. I patrimoni sono espressi in fasce di valore oppure con l'indicazione
"fino a" precedente a una determinata cifra poichÈ i funzionari non
sono obbligati a indicare il valore esatto del loro patrimonio. Vengono
piuttosto utilizzate le fasce (a esempio, le azioni GE del Segretario della
Difesa Rumsfeld rientrano nella categoria $100.001 - $250.000). Si tenga
presente che alcuni di questi funzionari possono aver ceduto parte del
patrimonio, specialmente i pacchetti azionari, al momento di assumere
l'incarico. Cosi' come e' possibile il contrario. 5.
Ivins, Molly. Shrub: The Short but Happy Political Life of George W. Bush, New
York, Random House, 2000; Lewis, Charles, e il Center for Public Integrity. The
Buying of the President 2000. New York, Avon Books, 2000; Romano, Lois, e George
Lardner, Jr. "Bush Earned Profit, Rangers Deal Insiders Say",
Washington Post 31 Luglio 1999. 6.
Royce, Knut, e Nathaniel Heller. "Cheney
Led Halliburton to Feast at Federal Trough", Public i (Center for Public
Integrity) 2 Agosto 2000. 7. Pfleger, Katherine. "US Embassies Assisted
Cheney Firm", Associated Press, 26 Ottobre 2000. 8.
Robinson, Walter V. "In Ashcroft's Past, a Vietnam Deferment", Boston
Globe, 16 Gennaio 2001: "Ma quando Ashcroft si arruolo' nell'esercito nel
1967, nel pieno della Guerra del Vietnam, cerco' di ottenere un rinvio presso la
commissione militare locale portando come motivazione che il suo posto di lavoro
fosse a rischio. La commissione di Springfield, Missouri, approvo' il rinvio.
Qual era l'occupazione a rischio del venticinquenne laureato in legge? Insegnare
diritto commerciale agli studenti di economia della Southwest Missouri State
University di Springfield. Il posto di Ashcroft era stato ottenuto con l'aiuto
di un professore di economia della SMSU, un membro attivo di una chiesa delle
Assemblee di Dio dove il padre di Ashcroft era stato pastore e personaggio
influente della comunita'. Il professore, Vencil Bixler, ha riferito la scorsa
settimana che Ashcroft sapeva che non avrebbe potuto evitare l'arruolamento
senza il posto d'insegnante che gli avrebbe consentito di richiedere il rinvio.
In un'intervista, Bixler disse che il posto d'insegnante gli era stato offerto
tre mesi prima che si laureasse all'Universita' di Chicago. Quando si laureo',
Ashcroft aveva gia' passato il test sanitario e sarebbe stato ben presto
arruolato, se non fosse stato per l'offerta del posto alla SMSU e la decisione
di rinvio della commissione militare locale.... Secondo le direttive per il
servizio di leva obbligatorio in vigore nel 1967, il posto di Ashcroft non era
considerato a rischio, come dimostrano i documenti esaminati dal Globe." 9.
Intervista di Amity Shlaes. Financial Times 19 Maggio 2001. Citazione
dall'articolo "MediaBeat" di Norman Solomon, Newsday (New York), e In
These Times. 10. La pagina web di Tommy G. Thompson sul sito del Center for
Responsive Politics. 11.
Mayrack, Brenda R. "Unprecedented: Top Two at DOT From Same Company",
Public i (Center for Public Integrity) 23 Marzo 2001. 12.
La pagina web di Gale Norton sul sito del Center for Responsive Politics. 13.
Ballenger, Josey. "Nominee for Energy's No. 3 Headed Company Faulted on
Worker Safety", Public i (Center for Public Integrity) 25 Aprile 2001. 14.
Sobieraj, Sandra. "Disclosure Forms Show Both Bush, Cheney With Millions in
Assets", Associated Press, 2 Giugno 2001. 15. Heller, Nathaniel, e Asif
Ismail. "Bush's Carbon Dioxide Flip-Flop Came Through Staffer Who Had
Lobbied for Car-Exhaust Firm", Public i (Center for Public Integrity) 30
Marzo 2001. 16.
Mokhiber, Russell, e Robert Weissman. "When
In Doubt, Shred It", articolo diffuso su varie pubblicazioni, 12 Gennaio
2002. 17.
Heller, Nathaniel. "New FCC Chairman Had Big Telephone Player as a Major
Client", Public i (Center for Public Integrity) 13 Febbraio 2001. 18.
Gordon, Marcy. "Enron Asked Treasury for Credit Extension", Associated
Press, 11 Gennaio 2002; Spiegel, Peter. "White House to be Quizzed Over
Enron Role", Financial Times 13 Gennaio 2002; senza firma. "Enron's
Lay Called Greenspan in October", Reuters, 11 Gennaio 2002. 19. Vulliamy,
Ed. "Price of Power", Observer (Londra) 13 Gennaio 2002. 20.
Weisskopf, Michael. "That Invisible Mack Sure Can Leave His Mark",
Time 1ƒ Settembre 1997.
21.
Per un elenco completo, vedere Wetherell, Derrick. "Fourteen
Top Bush Officials Owned Stock in Enron", Public i (Center for Public
Integrity) 11 Gennaio 2002
"George
W. Bush nel giardino del Getsemani"
Lettera aperta a George W. Bush da Michael Moore
http://www.cumulidineve.it/pensieri/Getsemani.htm
Caro George,
Quando tra un paio di mesi sarà tutto finito, e tu starai impacchettando i tuoi
pretzel e Spot per tornartene in Texas, quale sarà il tuo più grosso
rimpianto? Di non essere uscito più spesso e esserti goduto il panorama del
Parco Rock Creek? Di non aver mai visitato l'appena rinnovato IKEA di Woodbridge,
in Virginia? O di esserti comprato il biglietto per la Casa Bianca con i soldi
di una società che ha commesso la più grave bancarotta fraudolenta nella
storia americana? Ho la netta sensazione che tu non ti sia perso granché a non
aver passato l'intera domenica pomeriggio a montare una libreria svedese -- ma
avresti dovuto sapere che non c'era alcuna speranza per te di portare a termine
l'intero mandato presidenziale saltando nel letto con Kenneth Lay.
È abbastanza triste, se ci
pensi. Eccoti lì -- il presidente più popolare di sempre! -- il destinatario
di così tanta buona volontà da parte dei tuoi concittadini americani dopo l'11
settembre, ma tu hai dovuto rovinare tutto. Non ce l'hai proprio fatta a stare
lontano dal tuo vecchio compare cowboy del Texas, Kenneth Lay.
Kenny c'è sempre stato, per te.
Avevi bisogno di un mezzo per volare tra una tappa e l'altra delle primarie e
della campagna per le elezioni del 2000 -- così Kenny ti ha prestato l'aereo
della società. Hai detto agli elettori, quando arrivavi in ciascuna città, che
l'aereo su cui stavi volando apparteneva ad un miliardario che stava
segretamente cospirando per metterlo in quel posto a tutti i suoi dipendenti ed
investitori? Ti ha fatto volare attraverso l'America sul jet societario della
Enron, e grazie a questo favore tu sei atterrato, pista dopo pista, per dire ai
tuoi concittadini che avresti "riportato la dignità nella Casa Bianca, la
casa del popolo". Tu dicesti questo stando davanti al jet della Enron!
Ragazzi, amavi Lay così tanto,
che non solo ti riferivi a lui chiamandolo affettuosamente "Kenny
Boy", ma interrompesti un importante viaggio di campagna elettorale
nell'aprile del 2000, per volare fino a Houston per l'inaugurazione degli Astro
al nuovo Campo Enron -- solo per potere vedere Kenny Boy fare il primo lancio.
Che commovente!
Voglio dire, amavi quest'uomo in
modo talmente intenso che, quando ti hanno concesso un mazzo di chiavi preparato
dalla Corte Suprema così che tu potessi abitare nella Casa Bianca, hai invitato
Kenny Boy a tirare su bottega -- al 1600 di Pennsylvania Avenue! È stato lui a
intervistare quelli che avrebbero ricoperto posizioni elevate nel Dipartimento
dell'Energia del tuo governo.
Non solo hai lasciato a Kenny Boy
la decisione su chi avrebbe guidato l'autorità amministrativa che avrebbe
dovuto controllare la Enron, ma gli hai lasciato scegliere il nome del nuovo
Presidente della Commissione Sicurezza e Scambio (Securiry and Exchange
Commission, o SEC, corrispondente alla nostra CONSOB, NdT) -- un ex avvocato
della sua società di revisione, Arthur Andersen! Kenny e i ragazzi all'Andersen
hanno anche fatto in modo che le società per cui tenevano i conti fossero
esenti da numerose regolamentazioni, e non fossero chiamate a rispondere di
qualche "curiosità di bilancio" (ti piacerebbe essere tu stesso così
previdente?).
Il resto del tempo Kenny Boy lo
passava nella stanza accanto, col suo vecchio amicone Dick Cheney (la Enron e la
Halliburton, come ricorderai, hanno avuto i grossi contratti dal tuo papà per
"ricostruire" il Kuwait dopo la Guerra del Golfo). Lay e Dick
costituirono una "task force per l'energia" (Operazione Concussione
Infinita) che ha messo insieme la nuova "politica energetica" del
Paese. In base a questa politica si sono spente tutte le lampadine e le
spremiagrumi dello Stato della California. E prova a indovinare chi ha arraffato
tutto come banditi nel "negoziare" l'energia di cui la California
aveva un disperato bisogno? Kenny Boy e la Enron! Non mi stupisco che Big Dick
non voglia consegnare I file su quegli incontri speciali con Lay!
L'unica cosa che mi sorprende più
di tutti quei dirigenti della Enron che sono finiti nel tuo consiglio di
gabinetto e nel tuo governo, è il fatto che i nostri pigri media si sono girati
dall'altra parte e non l'hanno reso noto. La lista di gente della Enron nel tuo
libro paga è impressionante. Lawrence Lindsey, il tuo primo consulente
economico? Un ex consulente della Enron! Il Ministro del Tesoro Paul O'Neill? Ex
amministratore delegato di Alcoa, la cui società di lobbying, Vinson and Elkins,
fu il terzo maggior contribuente della tua campagna! Cos'è la Vinson and Elkins?
Lo studio legale che rappresenta la Enron! Cos'è Alcoa? Il maggior inquinatore
del Texas. Timothy White, il Ministro dell'Esercito? Un ex vice-presidente della
Enron Energy! Robert Zoellick, il tuo delegato presso la Federal Trade? Un ex
consulente della Enron! Karl Rove, il tuo braccio destro alla Casa Bianca? Era
titolare di un quarto di milione di dollari in azioni della Enron.
Poi c'è l'avvocato della Enron
che hai nominato come Giudice Federale in Texas, il lobbista della Enron che è
il tuo presidente del Partito Repubblicano, i due burocrati della Enron che oggi
lavorano per il Leader della Maggioranza della Camera Tom DeLay, e la moglie del
senatore del Texas Phil Gramm che siede nel consiglio di amministrazione della
Enron. E c'è il sopra menzionato signor Pitt, ex avvocato alla Arthur Andersen,
il cui lavoro è oggi di controllare la Borsa, come capo della SEC. Geroge, è
infinta! Le mie dita si stanno stancando a battere tutto questo -- e ce ne sono
ancora molti!
Non fraintendermi, George -- io
non penso che tu sia una persona cattiva. Non hai alcun bisogno di ricevere
paternali da gente come me -- diamine, hai problemi con tua suocera! Beh, io
sono in ottimi rapporti con mia suocera, ma del resto io non le ho mai detto di
mettere $8.000 dei suoi soldi in una società che il mio governo sapeva sarebbe
finita a pancia in su.
Dici che non lo sapevi? Il tuo
uomo della borsa -- Don Evans, quello che ha spremuto tutti quei soldi per te
dalla Enron come responsabile delle finanze della tua campagna (e che sta adesso
ricevendone i frutti come tuo Ministro del Commercio) -- ha ammesso di aver
ricevuto l'anno scorso dalla Enron chiamate imploranti aiuto poiché stavano
affondando. Non te l'ha detto?
Poi Paul O'Neill, il tuo Ministro
del Tesoro, ha ammesso che la Enron e Kenny Boy hanno chiamato anche te, per
alcuni speciali favori per salvare la Enron. Non te ne ha parlato? Affermano di
aver chiamato il responsabile del tuo staff, Andrew Card, il quale dice di non
essersi preso la briga di informarti. Cosa penserà tua suocera di tutti questi
ragazzi con cui il marito di sua figlia si associa?
Adoro guardare gli show di O'Neill
ed Evans. Che coppia di sagome! Eccoli la, tutti orgogliosi di se stessi per
"non aver fatto alcun favore alla Enron". In realtà, io credo sia più
giusto dire che non hanno fatto alcun favore A TUA SUOCERA. La Enron ha ricevuto
UN SACCO di favori. E perché no? Kenny Boy è stato il tuo primo sostenitore
finanziario sin dai tempi in cui ti candidasti come governatore. Nessun altro
americano o arabo ti ha mai dato più soldi di Kenny Boy e la sua combriccola
alla Enron. O'Neill, Evans, Cheney, il Ministro dell'Energia Spencer Abraham --
TUTTI costoro hanno fatto favori speciali a Lay e alla Enron sin dal primo
giorno. Al New York Times lo scorso maggio erano così preoccupati del modo in
cui Kenny aveva comprato la gara per il palazzo (1600 Pennsylvania Ave.) che si
sono riferiti a Lay come al "consigliere ombra del presidente".
E che consiglio! Chi era a volere
che tu facessi un'ulteriore deregulation dell'industria energetica? Kenny Boy!
Chi è stato a convincerti a valutare l'idea malata di PRIVATIZZARE la nostra
fornitura d'acqua e poi permettere in futuro alle imprese private di
"commerciarla"? Kenny Boy! Chi era a voler collegare la Previdenza
Sociale alla borsa? Sì, Kenny Boy! (immagina, se vuoi, cosa sarebbe accaduto ai
preziosi fondi della nostra Previdenza Sociale se fossero stati investiti in
azioni della Enron come tu stesso, George, avevi suggerito durante la tua
campagna, mentre ovunque gli yuppie annuivano tutti insieme, in approvazione
della geniale idea.)
L'ammissione di O'Neill e Evans
di "non aver fatto nulla" quando la Enron li informò del gioco di
scatole cinesi della società e dell'imminente collasso è una ragione
sufficiente perché tu e i tuoi prendiate la tangenziale e non facciate più
ritorno a quel sacro ufficio che chiamiamo il Nostro Governo Americano. Sono
orgogliosi di "non aver fatto nulla"? Non facendo nulla, milioni di
americani sono stati frodati. Decine di migliaia hanno perso il lavoro. Altre
migliaia hanno perduto i loro risparmi e la loro pensione. Eppure i ministri del
tuo governo gongolano riguardo all'"ottimo lavoro" che tu e loro
avreste fatto senza "aver fatto nulla".
Lascia che ti faccia una domanda:
se qualcuno stesse dando fuoco a una casa, e ti chiamassero per aiutarli ad
incendiarla, e tu rispondessi di no, che non li avresti aiutati -- MA inoltre tu
NON chiamassi la polizia per informarla che qualcuno stava per dar fuoco a una
casa, pensi che avresti commesso un crimine?
Certo che l'avresti fatto! Avevi
conoscenza preventiva e quindi tu consapevolmente e volutamente hai NASCOSTO
questa informazione alle autorità e alle persone che vivono in quella casa! Hai
ammesso di sapere che una casa sarebbe andata bruciata solo quando sei stato
interrogato dalla polizia. Sei stato connivente? Sì! Sei un complice? Sì! A
chi mai verrebbe l'idea di andare in giro a vantarsi "Hey, sentite quanto
sono bravo -- un mio amico mi ha detto che stava per commettere un atto di
incendio doloso, e quindi ho deciso di NON avvertire NESSUNO di questo!!
WHOO-HOO!!"
Enron e Kenny Boy hanno comprato
il tuo silenzio e il silenzio dei membri del tuo governo. Tu non dovevi in prima
persona rapinare i risparmi di quei 401mila poveri cristi a Houston (molti dei
quali probabilmente votarono per te ogni volta che il tuo nome appariva in
un'elezione). Tutto ciò che dovevi fare era stare zitto, cambiare i regolamenti
governativi in modo che potessero cavarsela impuniti, e posizionare i loro
intimi amici nei comitati di "controllo" che avrebbero dovuto tenerli
d'occhio.
Mentre facevi tutto questo, hai
detto al popolo americano che questi tuoi ricchi amici non godevano di alcun
trattamento speciale -- quando, di fatto, la Enron aveva già trovato il raggiro
per riuscire a non pagare ALCUNA tassa in quattro degli ultimi cinque anni. La
tua legge di "stimolo" economico, che sei riuscito a far passare alla
Camera dopo l'11 settembre, conteneva una sezione che regalava alla Enron $250
milioni dei soldi delle nostre tasse. Stavi spingendo questa legge in novembre e
dicembre, quando la tua amministrazione sapeva già da molto tempo che la Enron
stava svuotando il caveau e fregando i suoi lavoratori ed investitori.
Tu e i tuoi amici repubblicani vi
affrettate a precisare che la Enron aveva i suoi artigli anche sui democratici.
Sì, è vero, e grazie per evidenziare il fatto che non c'è solo bisogno di
un'alternativa all'attuale assetto del Partito Democratico, ma occorre anche
eliminare al più presto i finanziamenti privati dal processo elettorale.
Però, George, diciamo la verità
-- i democratici hanno ricevuto l'elemosina dalla Enron, in confronto ai milioni
che tu e i repubblicani avete ricevuto. I democratici semplicemente non hanno
quell'istinto killer che serve a fare qualsiasi cosa nel modo giusto, e
sicuramente non ne sanno molto su come fare soldi alla vecchia maniera, un
paradiso fiscale dopo l'altro. Non mi aspetto niente di meno da un partito che
non è neanche riuscito a mettere il suo candidato alla Casa Bianca dopo che
aveva già vinto le elezioni.
I democratici sono come una Yugo
(una marca di automobili slava, NdT) -- sai che non durerà a lungo né
funzionerà bene, ma di tanto in tanto riuscirà a fare il suo lavoro. I gatti
grassi sanno che possono comprare i democratici a prezzi di saldo, e quindi lo
fanno. Chiunque tenti di deviare questo scandalo da te, George, o dai
repubblicani, o dall'intero sporco modo in cui eleggiamo i nostri leader, è
qualcuno che sta disperatamente cercando di aggrapparsi a ciò che resta di un
sistema molto disonesto che deve sparire, e sparire subito.
La parte più triste di tutto
questo affare fu il giorno in cui venne rivelato -- e tu negasti addirittura di
conoscere il tuo buon amico, Kenneth Lay. "Ken chi?", hai detto. Oh,
è solo un qualche uomo d'affari del Texas. "Diamine, ha appoggiato la mia
rivale come governatore, Ann Richards!" fu il tuo modo di cercare di
scansare la verità che stava per colpirti come un TIR. Sapevi bene che lui, in
realtà, sponsorizzava TE e ti diede TRE volte i soldi che Ann Richards ha mai
ricevuto da lui.
Non ho quasi mai rivolto la
parola a quel tizio, hai detto. Eri come Pietro nel giardino del Getsemani, che
negò di conoscere Gesù, per tre volte. Poi il gallo cantò. E Pietro si
vergognò e scappò via.
Che vergogna provi stanotte,
George, per le bugie che hai detto? Che vergogna provi per aver usato i morti
dell'11 settembre come copertura per le tue azioni, nella speranza che la nostra
tristezza per quelle anime perdute e la paura di essere uccisi dai terroristi ci
distraesse da ciò che tu e Kenny Boy stavate facendo in quelle terribili
settimane di settembre e ottobre?
Era proprio durante quei giorni,
mentre il resto di noi era sotto shock e afflitto, che i manager alla Enron
stavano vendendo le loro azioni e spostavano i capitali verso le loro 900 società
fasulle oltremare. Che abbiano notato i resti dei morti che venivano recuperati
dalle macerie mentre stavano scaricando i loro milioni, o i loro occhi erano
incollati alla parte bassa dello schermo TV, dove i dati della borsa con i
prezzi truccati delle azioni Enron scorrevano sulle immagini dei vigili del
fuoco che, disperati, in lacrime, cercavano i loro fratelli caduti?
Il Paese ti appoggiava quando
dicesti che stavi combattendo i malvagi che fecero tutto questo. Di fatto, per
tutto il tempo, la vera battaglia che i tuoi amici alla Enron stavano conducendo
era la battaglia contro il tempo, per vedere quanto in fretta fossero riusciti a
trasferire tutto il bottino sui loro conti personali e scappare. Quelli erano i
malvagi, George, e tu lo sapevi. E poiché tu, di proposito o per negligenza,
hai permesso che ciò accadesse, è tempo che tu ti dimetta. Il gallo ha cantato
per l'ultima volta.
Come minimo, tua suocera si
merita di meglio.
Tuo,
Michael Moore
Americano,
Genero,
Proprietario della SETTIMA MAGGIORE SOCIETÀ AMERICANA! (classifica revisionata)
www.michaelmoore.com
mmflint@aol.com
http://alphakappa.clarence.com/
Settembre 17, 2003
...
e non dite che non ve l'avevo detto
Oggi è il 17 settembre. Fra tanti anniversari che costellano questo
settembre, ci giurerei che questo è sfuggito a molti.
Però qualcuno se lo ricorderà che martedì 17 settembre 2002 «nel
disinteresse pressoché generale della non-America, la Casa Bianca rendeva
pubblico un documento intitolato "The National Security Strategy of
the United States of America" (la strategia per la sicurezza
nazionale degli Stati Uniti d’America), e considerata da più parti e a
buon diritto come il manifesto dell’Impero: si tratta, infatti, del
primo testo in cui l’America esprime apertamente, e motivandola dal
punto di vista morale, la propria intenzione — non più discutibile o
procrastinabile — di governare il mondo. La novità principale contenuta
in questo documento consiste nell’enunciazione di una Weltanschauung
o, se si preferisce, di una precisa antropologia: è questo, infatti,
il significato dell’affermazione iniziale che dalle grandi lotte del
secolo XX è scaturito un modello unico fondato su tre (e tre soli)
pilastri — libertà, democrazia e libera impresa. Il non voler, o non
poter, adottare questo modello è condizione necessaria e sufficiente per
essere annoverati fra i “cattivi” — i famigerati rogue states,
gli Stati-canaglia. Ed è per questo, si suggerisce, che verrà dichiarata
guerra all’Iraq: la prima guerra del nuovo Impero, pronto a prendere il
posto dello Stato-canaglia eliminato in vista di una ridelineazione del
Medio Oriente, come in un tragico Risiko giocato sulla pelle dei popoli»
(mi cito: cfr. il mio intervento del 9 aprile 2003 su questo stesso blog,
in cui esaminavo più a fondo il documento).
Dunque è passato un anno e gli anniversari, si sa, vanno festeggiati:
è per questo che oggi, spulciando le agenzie di stampa, m'imbatto in
queste tre perle che riporto di seguito:
TERRORISMO: FRIEDMAN, GUERRA MONDIALE CONTRO ISLAMISMO POLITICO -
NON RINUNCEREMO A SOCIETA' CHE ABBIAMO COSTRUITO New York, 17 set. (Adnkronos)
- «La "terza guerra mondiale" è contro il totalitarismo
religioso. L'"islamismo politico" ha come fondamentale obiettivo
quella di minacciare l'esistenza della "società aperta". Da
questa minaccia è nato l'11 settembre». Lo afferma Thomas Friedman,
columnist del New York Times, saggista di successo e premio Pulitzer, in
un'intervista a "Repubblica". «È stata sconfitta —
sottolinea — l'idea di chi pensava che questo terrorismo avrebbe
cambiato la bilancia del potere fra noi e loro. Il messaggio che abbiamo
mandato è chiaro: non siamo disposti a rinunciare alla società aperta
che abbiamo costruito in 250 anni».
USA: LISTA UNICA PER TUTTI I SOSPETTI TERRORISTI
Washington, 17
set. (Adnkronos) - Gli Stati Uniti intendono stilare un'unica lista con i
nomi di oltre 100mila sospetti di terrorismo, in modo da evitare gli
errori precedenti all'11 settembre. Il compito è stato affidato ad un
nuovo centro, che sarà operativo in dicembre e verrà guidato dall'Fbi,
assieme alla Cia, il Dipartimento di Giustizia e quello per la Sicurezza
Interna.
M.O.: NY TIMES, DA ARABIA SAUDITA META' FONDI HAMAS - 'RIAD FORNISCE
5 MILIONI DI DOLLARI L'ANNO ALL'ORGANIZZAZIONE' Riad, 17 set. - (Adnkronos/Aki)
- Almeno la metà dei fondi a disposizione del movimento integralista
palestinese Hamas proviene direttamente dall'Arabia Saudita. È quanto
afferma nell'edizione di oggi il "New York Times" citando fonti
statunitensi e israeliane, secondo cui 5 dei 10 milioni di dollari annui
di cui dispone l'organizzazione provengono appunto da donatori sauditi. Le
offerte — sottolinea il quotidiano — vengono effettuate esclusivamente
in contanti, rendendo difficile se non impossibile l'individuazione del
denaro da parte dei servizi di sicurezza americani. (Mam/Gs/Adnkronos).
Ci riuscite da soli a mettere in collegamento le dichiarazioni di
Friedman con quelle del "New York Times" di cui lo stesso
Friedman è opinionista, o devo darvi una mano? E vi torna che la lista
unica di proscrizione per i sospetti terroristi rientra nella strategia
per la sicurezza nazionale del grande Paese sotto Dio, o vi sembra un
caso? Fate un piccolo sforzo. E cominciate a preoccuparvi.
Il contenuto di questo blog è ovviamente copyleft, e può essere
liberamente riprodotto a condizione che resti inalterato, che se ne citi
la fonte e che si pubblichi anche questa precisazione.
Luglio 26, 2003
genocidio
È di ieri la notizia (ripresa da www.arabmonitor.info
e soltanto in serata dalle reti nazionali) che un bambino palestinese
di cinque anni, Mahmud Qabha, è stato ucciso a un posto di blocco
israeliano, nel nord della Cisgiordania. Fonti ufficiali dicono che si
sarebbe trattato di una tragica fatalità: «dalla mitragliatrice di un
blindato israeliano sarebbero partiti "accidentalmente" svariati
colpi che, oltre a uccidere il bimbo, hanno ferito le sue due sorelline,
una delle quali, di sei anni, versa ora in gravissime condizioni. I tre
bambini sono stati raggiunti dai proiettili mentre si trovavano a bordo
della macchina del padre».
Certo che è incredibile: in Israele, ogni volta che qualcuno si
distrae e parte un colpo non c'è pericolo che vada perso. Becca sempre
qualcuno, e preferibilmente gente giovane — molto giovane. Bambini.
Bambini che non diventeranno mai uomini o donne, che non lavoreranno
mai la loro terra, che non avranno mai figli e soprattutto (perché è a
questo che pensano gli israeliani) che non andranno mai a ingrossare le
fila dei combattenti per la liberazione della Palestina. Bambini che
resteranno consegnati per l'eternità alla loro fragile condizione
infantile, pochi anni di timori e speranze buttati via in un attimo per
quella "tragica fatalità" che così spesso si verifica nei
territori occupati da Israele.
Uccidere i vecchi è una vigliaccheria, uccidere le donne può essere,
nell'allucinata logica della guerra, una scelta strategica. Ma uccidere i
bambini è il più odioso dei crimini: è genocidio. Perché uccidendo un
bambino si uccidono le speranze di un popolo, si impedisce che la sua
memoria venga perpetuata, si annienta l'immensa potenzialità racchiusa in
ogni individuo.
È contro questo che bisogna battersi, e pensare alla lotta, dopo le
lacrime. Io ho già finito di piangere.
Il senso della misura
Il senso della misura è una cosa che gli americani sembrano aver perso
— o non aver mai avuto — a giudicare dalle notizie che arrivano
giornalmente dagli States. Sentite questa, letta ieri su www.arabmonitor.info:
A Rumsfeld le fotografie sono piaciute
Washington, 25 luglio - Donald Rumsfeld si è detto soddisfatto della
decisione di aver fatto pubblicare le foto dei cadaveri dei figli di
Saddam Hussein. "La brutale carriera dei due è terminata. Un segnale
chiaro è stato inviato agli iracheni che la famiglia Hussein è finita e
non tornerà più a terrorizzarli... Le forze della coalizione
continueranno a catturare e a uccidere i resti del precedente
regime". Ad ascoltare il capo del Pentagono, si ha la sensazione di
avere a che fare con un caso clinico.
Questo fatto di "continuare a catturare e uccidere i resti"
mi fa venire in mente il dottor Hannibal Lecter, e forse piacerebbe a
Patricia Cornwell e a Jeffery Deaver, chissà... Insisto sulla necessità
del ricovero.
E che mi dite di quest'altra?
CONDANNE FRA 30 E 41 MESI PER PROTESTA CONTRO BASE MISSILISTICA
Denver, 26 lug. - (Adnkronos/Dpa) -
Tre suore cattoliche americane sono
state condannate a pene carcerarie fra 30 e 41 mesi per aver partecipato
ad una manifestazione pacifista in una base missilistica nel Colorado.
L'accusa aveva chiesto sei anni di carcere. In aprile il tribunale aveva
riconosciuto colpevoli le tre religiose di aver causato danni per mille
dollari e aver interferito con la difesa nazionale. Le suore erano
penetrate in ottobre in una base presso Greeley (Colorado) per protestare
contro la guerra in Iraq e avevano tracciato croci con il loro stesso
sangue sui silos che ospitavano i missili Minuteman. Poi avevano picchiato
contro i silos con un normale martello.
Non mi riesce neanche di fare un commento adeguato, perché la cosa mi
sembra davvero enorme. Se ci si deve aspettare una manifestazione da una
suora, non c'è da stupirsi se sarà di tipo pacifista — danni a
cose, voglio dire (le crociate sono finite da un pezzo, e non mi risulta
che le suore abbiano mai avuto parte nei meccanismi inquisitoriali). Mi
chiedo se si possa sbattere in galera per 30/41 mesi una persona colpevole
di aver preso a martellate un silos dopo averlo imbrattato di sangue (il
proprio, fra l'altro). Ma trattandosi di giustizia americana,
probabilmente sì.
Il che, capirete, mi preoccupa un po'. Perché gli Stati Uniti si
stanno allargando davvero un po' troppo, per i miei gusti: e io, che pure
sono un tantino anticlericale, mi chiedo se — con questa smania di
americanizzare tutto che hanno i nostri allegri governanti — un domani
non si arriverà magari ad arrestare un prete perché dice "la pace
sia con voi". Non si sa mai.
Luglio 25, 2003
Criminali di guerra
Una delle notizie più interessanti ma meno pubblicizzate di oggi è
che la Corea del nord ha simbolicamente riconosciuto colpevoli come
criminali di guerra il presidente americano George Bush e 10 suoi
predecessori fino a Harry Truman, a due giorni dal cinquantesimo
anniversario dell'armistizio che pose fine alla sanguinaria guerra di
Corea, il 27 luglio 1953. Un tribunale internazionale sui crimini
americani in Corea «appoggiato da organizzazioni democratiche
internazionali, organizzazioni pacifiste, avvocati e esponenti di spicco a
livello mondiale», come ha reso noto l'agenzia di stampa ufficiale
Kcna di Seul, ha incriminato «in contumacia 11 presidenti degli Stati
Uniti dopo averli riconosciuti colpevoli di reati contro il popolo coreano».
Non sto qui a fare un'impossibile "breve storia della guerra di
Corea": mi limito a ricordare che la guerra scoppiò il 25 giugno
1950 con l'invasione del Sud, voluta dall'allora leader nordcoreano Kim Il
Sung, e fece oltre 2 milioni di vittime al Nord e al Sud — cifra che
comprende anche 900.000 volontari cinesi accorsi a fianco del Nord e oltre
50.000 soldati americani intervenuti in difesa del Sud. Si concluse il 27
luglio 1953, come si è detto, con un fragile armistizio tuttora in vigore
che non spostò di una virgola l'assetto prebellico. Naturalmente gli
Stati Uniti giustificarono il loro intervento dietro la nobile facciata
della difesa di valori sacri come la libertà, l'autodeterminazione dei
popoli e la democrazia: lo fanno sempre. E naturalmente, non appena vi
misero piede, impiantarono nella "loro" Corea una dittatura
militare strettamente legata al mondo degli affari sia locale che
americano — situazione che si protrae tuttora e che ha impedito
praticamente fino al 1990 una libera consultazione elettorale. Dicevo
prima dell'interesse rivestito da questa notizia: e mi riferisco al fatto
che la presa di posizione della Corea del Nord controbilancia, almeno in
parte, il recente calamento di brache del Belgio nei confronti di Israele.
Meno male che ogni tanto qualcuno ha l'ardire di sfiorarli, questi
intoccabili: che credono di godere dell'intangibilità dell'Arca, e forse
finiranno come dei paria. La Storia è lunga, e se talvolta si ripete
talaltra riserva delle sorprese.
Luglio 24, 2003
Non c'è limite al peggio?
«Non c'è limite al peggio» è una vecchia frase che ho sempre
ritenuto un po' retorica, ma dopo aver letto le notizie di oggi credo che
dovrò rivedere il mio giudizio.
Forse a qualcuno è sfuggito, ma in un'intervista alla Cnn riportata
oggi da ''Repubblica'' l'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, ha
affermato: «Penso che la Casa Bianca abbia fatto la cosa giusta nel
dichiarare: "Ok, forse non avremmo dovuto dire quella frase". Ma
ora dovremmo concentrarci sul punto a cui siamo arrivati, e quale sia la
cosa giusta da fare adesso per l'Iraq». E va bene. Cane non mangia
cane, e l'ex presidente appoggia l'operato del presidente in carica. Perché
no?
Ma poi Clinton esagera, e mostrandosi più realista del re dichiara,
con un pessimo gusto che finora era stato appannaggio esclusivo dell'unico
inimitabile Bush jr., quanto segue: l'uccisione dei due figli di Saddam
Hussein «è un'ottima notizia, ci aiuta a tenere meglio sotto
controllo la situazione». E prosegue: «Sono lieto che i nostri
soldati abbiano portato a termine questo incarico, come fanno sempre, del
resto» per poi concludere: «Credo che quei tipi siano stati
abbastanza stolti a non consegnarsi, ma questo non è certo il loro primo
errore stupido».
Ora, "quei tipi" sono, per chi si fosse distratto, Uday e
Qusay Hussein, i due figli di Saddam Hussein morti ammazzati l'altro ieri
in uno scontro a fuoco a Mosul. E "quei tipi" non avevano
abbandonato il Paese, ma erano rimasti lì, a casa loro, fra la loro gente
— non come certi sovrani di casa nostra, tanto per intenderci. E sono
morti con le armi in pugno.
Ma già, gli americani queste cose non le capiscono. Loro preferiscono
quando il nemico si consegna vivo, così possono infliggergli ogni
umiliazione, calpestare ogni suo diritto, processarlo e condannarlo in un
delirio inquisitorio che esalta i fanatici, infiamma i tiepidi e tacita
gli ignavi.
Preferiscono ancora di più quando possono fare giustizia sommaria,
come ai bei tempi del vecchio West, icona principe del ristretto
immaginario individuale del cow-boy Bush. E non si fermano davanti a
nulla: leggo da www.arabmonitor.info
di oggi la seguente notizia:
Poco chiare le circostanze dell'uccisione del figlio di Qusay
Baghdad, 23 luglio - [...] sono poco chiare invece le circostanze in
cui sarebbe morto il figlio quattordicenne di Qusay, che era insieme al
padre. Dopo che gli americani hanno lanciato dei missili anticarro sulla
casa, il fuoco dall'interno era cessato: le truppe hanno fatto irruzione
nella sezione della villa, al secondo piano, dove si erano barricati Qusay
e Ouday, trovandosi davanti un ragazzino ancora vivo. Secondo la versione
che fa comodo ai militari statunitensi, il giovane avrebbe aperto il fuoco
sui soldati, che lo avrebbero ucciso, ma secondo un'altra ricostruzione,
il ragazzino sarebbe stato ucciso a sangue freddo, vicino al corpo del
padre.
Sarò malpensante, ma chissà perché mi sembra più attendibile
l'"altra ricostruzione". A spulciare la storia degli Stati Uniti
da un secolo a questa parte ci si imbatte in tali e tante turpitudini da
far sembrare il Maramaldo un impeccabile gentiluomo. E adesso, con
l'attuale amministrazione che il ministro degli Esteri iraniano ha
definito senza mezzi termini "banda di gangster", alla naturale
arroganza di questi bambinoni che han preso poche sberle da piccoli si
aggiunge anche la convinzione — questa sì veramente fondamentalista —
di essere gli artefici di un grandioso disegno divino etc. etc.
Tant'è che ieri, parlando alla stampa nel Giardino delle rose della
Casa Bianca — e affiancato dai soliti Donald Rumsfeld (segretario alla
Difesa), Paul Bremer (amministratore americano dell'Iraq) e Richard Myers
(generale, comandante delle forze armate Usa) — George W. Bush ha
lanciato un appello alla comunità internazionale perché contribuisca
alla ricostruzione e alla stabilizzazione dell'Iraq: «Sollecito le
nazioni del mondo a contribuire militarmente e finanziariamente al
compimento della visione della risoluzione 1483 del Consiglio di sicurezza
dell'Onu per un Iraq libero e sicuro», ha detto Bush assicurando che
gli Usa «hanno una strategia complessiva per traghettare l'Iraq in un
futuro che sia sicuro e prospero». Certo, come no...
Premuroso, Bremer gli ha riferito la strategia per «accelerare i
progressi» verso un rapido ritorno alla piena sovranità dell'Iraq e
ha delineato «un piano di azione complessivo per portare maggiore
sicurezza, servizi essenziali, sviluppo economico e democrazia al popolo
iracheno». E Bush, per rinsaldare la fiducia degli iracheni e del
mondo intero nelle magnifiche sorti e progressive del nuovo Iraq, ha
pensato bene di ricordare l'uccisione dei due figli di Saddam Hussein,
definendoli "due boia", «responsabili delle torture, delle
menomazioni e delle uccisioni perpetuate nei confronti di innumerevoli
iracheni». Mi piacerebbe sapere come definirebbe, Bush, i
dittatorelli piazzati strategicamente dalla Cia qua e là per il mondo a
tutelare gli interessi della "nazione sotto Dio".
Fortunatamente per il resto del mondo, però, i grandi States non
possono prevedere tutto. E invece che con mazzi di fiori e festeggiamenti,
i soldatini dello zio Sam vengono accolti a fucilate. Sta' un po' a vedere
che i concetti di liberazione e democrazia non sono gli stessi ovunque...
Proprio stamattina, tre uomini della 101ª Divisione Paracadutisti
dell'esercito degli Stati Uniti sono stati uccisi in un attacco sferrato
con un razzo esplosivo seguito dal fuoco di armi di piccolo calibro. Così
sale a 158 il numero dei caduti statunitensi in Iraq: undici in più che
durante la Guerra del Golfo del 1991. Va detto che il bilancio delle
vittime non è però ufficiale e aggiornato: recentemente, infatti, il
Pentagono ha rivisto le cifre e ha rivalutato alcuni episodi di di fuoco
ostile, senza contare gli incidenti e il micidiale fuoco amico — che
dall'inizio del conflitto avrebbero fatto almeno 79 vittime. Su queste
basi, il conteggio totale ufficiale dei caduti statunitensi sarebbe dunque
di 234, 96 dei quali (39 per fuoco ostile, 57 per fuoco amico o incidenti)
dopo il 1° maggio 2003, quando il presidente George W. Bush annunciò la
fine delle ostilità o almeno delle principali operazioni belliche.
Ovviamente questo non è e non dev'essere, per nessuno, motivo di
consolazione o di sollievo. Ma che almeno ci si lasci qualche speranza, in
attesa del peggio che verrà.
Luglio 23, 2003
Senza vergogna
Dalla periferia dell'Impero, 23 luglio 2003
È ufficiale: i due figli di Saddam Hussein, Uday e Qusay, sono rimasti
uccisi ieri sera in un conflitto a fuoco con le truppe d'occupazione
americane nei pressi di Mosul, in Iraq.
Scarni ed essenziali i commenti degli artefici di questa guerra,
inutilissima fra le guerre inutili: Bush jr. si è detto
"soddisfatto" alla notizia della morte dei due pericolosi eredi
di tanto padre, e ha aggiunto che la loro "uscita di scena"
("morte" e concetti correlati sono considerati politically
uncorrect negli Usa) dovrebbe rassicurare gli iracheni che il regime
di Saddam «se n'è andato e non tornerà più».
Meno brutale (ma si sa, gli inglesi vantano una lunga tradizione
diplomatica) Tony Blair, che questo evento solleva un poco dalla palude in
cui l'ha sprofondato lo scandalo Kelly: la morte dei figli di Saddam segna
«un grande giorno per un nuovo Iraq».
Del resto lo dice anche il Vangelo che le colpe dei padri ricadono sui
figli, no? La devota coscienza di Bush e dei suoi è a posto. Molte altre,
per fortuna meno devote, no.
Luglio 22, 2003
In che mani...
Dalla periferia dell'Impero, 20 luglio 2003
Siamo tutti qui che ci preoccupiamo di Bush e della sua corte —
Rumsfeld, Powell, Rice, Wolfowitz, Perle etc. e, oltreoceano, Blair — e
invece perdiamo di vista i personaggi più interessanti. Per esempio, che
cosa sapete di Karl Rove, il «mitico guru che ha inventato a tavolino
la straordinaria carriera politica di George W. Bush, il presidente rozzo,
incolto e impreparato cui nessuno, fino a qualche anno fa, avrebbe dato un
centesimo di credito», come dice Alessandra Farkas su
"Sette" del 10 luglio? Probabilmente non molto, proprio come me
che ho scoperto il tipo leggendo questo illuminante articolo. E
trasalendo. Perché quello che mi ha colpito non è stato tanto sapere che
Rove non si è mai laureato (cosa che negli States ha la sua importanza)
eppure è arrivato lo stesso ai vertici del potere; né che sia lui a
gestire veramente la politica interna e quella estera degli Stati Uniti
condizionando gli equilibri planetari. No. Quello che mi ha folgorato è
che (come riferisce sempre Farkas) «"Karl Rove ha voluto che ogni
anno venisse celebrato il Giorno del Gelato, nell'Ala ovest dell'edificio
presidenziale", racconta un membro del suo staff. Così per un'intera
giornata si va avanti a sorbetti e snack cremosi». Forse abbiamo
sbagliato tutto. Forse non dovremmo combatterli, dovremmo ricoverarli.
George
W. Bush e dio
http://www.italian.it/isf/home517.htm
di
Giulia D'agnolo Vallan
6 ottobre 2002
Vissuta
dagli Stati Uniti, la corsa verso la guerra in Iraq - e il clima
politico creato dalle imminenti elezioni - stanno creando
l'impressione di un profondo scollamento tra il discorso pubblico,
esemplificato da governo e media, e opinione pubblica. Ne abbiamo
parlato con Mark Crispin Miller, professore di cultura e
comunicazione alla New York University, noto per il libro sulla tv
Boxed In e per il più recente The Bush Dyslexicon:
Observations on a National Disorder, un'analisi degli
strafalcioni del presidente Usa dietro cui si nasconde una
particolare lettura delle sua politica.
Contrariamente a quanto si vuol far credere in Europa, mi
sembra che gli americani non abbiano nessuna voglia di andare in
guerra È come se la corsa verso l'Iraq fosse una cosa gestita
tutta a livello di governo e tv...
Siamo arrivati al punto in cui il governo e il sistema «corporate»
dei media si sono uniti e sono levitati al di sopra della
superficie terrestre: non rispondono più all'opinione di massa o
ai desideri di massa. Essendo costituito da un monopolio di pochi,
il nostro sistema mediatico può dire e fare quello che meglio
crede: non c'è competizione. Nella realtà dei fatti non c'è
nessuna prova di supporto popolare per questa guerra. Al
contrario, ci sono tutte le prove dell'esistenza di una enorme
opposizione all'invasione. Come prevedibile da parte del movimento
per la pace, ma anche di parecchi veterani della guerra del Golfo,
generali in pensione. .... Recentemente, un periodico che segue da
vicino il Congresso ha riportato una cosa che conferma quanto che
avevo già sentito dalle mie fonti di Capitol Hill. E cioé che,
nella posta che arriva ai deputati, per 30 lettere contro la
guerra ce n'è una a favore. E che anche chi è a favore non è
convintissimo. Non è un caso che parecchi repubblicani siano
contrari all'intervento in Iraq: un conservatore di sani principi
non può che essere contro questa scelta fatta da una giunta che
sta estendendo la giurisdizione del governo federale ben oltre i
limiti della costituzione. Il problema è che la stampa americana
in questo momento sta funzionando come la stampa in Iraq. Prendi
Bush, il 4 settembre scorso, sul podio di Crawford, dice: «Sono
un uomo paziente». E promette che rifletterà e si consulterà
con altri...Tutti lo vedono e lo sentono. Due giorni dopo, il 6
settembre, 100 caccia americani e inglesi attaccano la maggior
base contraerea dell'Iraq. Il fatto è riportato da tutta la
stampa del mondo, ma non in Usa. Visto che il Pentagono si è
rifiutato di commentare, nessun network tv ha dato la notizia. La
realtà è che i media che fanno capo alle grandi corporation sono
propaganda pura, un megafono per questa amministrazione. Se in
Europa pensano che la stampa di qui stia dando un'immagine
accurata di quello che succede sono pericolosamente sulla falsa
via.
La Cnn, che durante la guerra del Golfo funzionava come una
sorta di antenna internazionale...Oggi è tra le più allineate..
È nauseante. Quando l'ex ispettore dell' Onu in Iraq, Scott
Ritter, è apparso su Cnn, lo hanno preso a pesci in faccia. I
giornalisti! Se sei contro l'aministrazione i giornalisti ti
attaccano.
Perché il desiderio di aderire incondizionatamente alle
posizioni di questo governo?
Prima di tutto la concentrazione di potere - un problema che avete
anche in Italia: qui i «conglomerate» dipendono dalla
deregulation. È per quello che Jack Welsh e Rupert Murdoch sono
intervenuti direttamente, la notte delle elezioni, per fare
annunciare in anticipo la vittoria di Bush. Non che Gore li
avrebbe trattati male, ma i repubblicani sono molto più
estremisti e si muovono più in fretta. E poi bisogna dire che la
nostra stampa è diventata incredibilmente pigra. Si è
dimenticata di come si fa giornalismo e si limita a ripetere
quello che dicono le persone potenti. Poi credo veramente nel
successo della propaganda della destra ai danni di quelli che
vengono chiamati i «media liberal». E' un'operazione iniziata
nel 1969 e continuata negli anni 70 essenzialmente per via del
Vietnam: abbiamo perso la guerra non perché siamo stati sconfitti
militarmente ma perché siamo stati accoltellati alla schiena dai
«media liberal». Da allora, quando si tratta di guerra, stampa e
tv hanno fatto di tutto per assecondare il governo: Grenada,
Panama, Iraq...La cosa più sorprendente è che nel 1991 i
propagandisti sono saltati fuori con parecchie prove di quello che
stava facendo Saddam Hussein. Tutte discutibili, ma almeno le
avevano prodotte. Questa volta c'è solo Bush che promette che darà
delle prove. E tutti si comportano come se lo avesse fatto. In
realtà non è assolutamente riuscito a convincere gli americani:
ha solo persuaso il sistema.
I talk show politici, sempre più frequenti in tv, hanno
assorbito il modello della talk-radio, un discorso aggressivo,
generico, mirato al minimo comun denominatore, e la
drammatizzazione delle news secondo i modelli della fiction è
facilitata dall'abitudine alla reality tv. Questa è tv che costa
pochissimo produrre...
E' stato il cavo, sono stati i canali di «all news» a
cominciare. E hai assolutamente ragione: sia la «tv della realtà»
che il modello del talk-show sotto forma di wrestling
politico/verbale costano pochissimo e attraggono pubblico. D'altra
parte i media commerciali hanno sempre amato le guerre per questa
ragione...vendono. Ma qui è anche peggio: la tv è un medium
irrazionale. Mentre pronunci una frase che ha senso lo spettatore
magari ti guarda le sopracciglia. Certe parole bucano lo schermo e
ti atterrano nella coscienza, dove finiscono in una specie di
schema manicheo - questo è buono quello è cattivo. In tv Bush
parla in modo assolutamente incomprensibile. Nulla di quello che
dice è consequenziale. O racconta una bugia dopo l'altra. E
nessuno lo fa notare. È senza precedenti, ed è una delle
particolarità specifiche di Bush. Del fatto che è lui alla Casa
Bianca e che tutti ne hanno paura. Di lui e di Karl Rove.
E' un'amministrazione molto vendicativa?
E' la più vendicativa nei confronti della stampa dai tempi di
Nixon. Ma per Nixon era più difficile, perché non è mai stato
popolare e perché il sistema dei media non era così
centralizzato.
Come paragonerebbe la costruzione dell'immagine di Bush
rispetto a quella di Reagan, «il grande comunicatore»?
La strategia con Reagan era di usarlo per trasferire ricchezza dai
ricchi ai poveri, e sfruttare la sua immagine per attirare al
partito repubblicano lavoratori democratici insoddisfatti. Reagan
doveva anche servire a unificare la destra, Wall Street e la
destra cristiana. Con Bush la strategia è molto simile ma molto
più radicale. La differenza cruciale e che non c'è più una
guerra fredda. Nei confronti di quest'amministrazione non si può
nemmeno usare l'aggettivo conservatrice...«fascista» -una parola
frusta, lo so- è il termine che mi sembra più indicato. Non
saprei come altro definirli. Non credono nella democrazia:
vogliono sradicare il movimento dei lavoratori, quello
dell'ambiente e non tollerano interferenze...In più c'è la vena
importante del fondamentalismo religioso. La presenza di un John
Ashcroft in qualità di ministro della giustizia, il fatto che
Rove faccia così attenzione alla destra cristiana...I critici
dell'amministrazione Bush spesso fanno un errore molto «di
sinistra», riducono tutto in termini economici. Ma in questo caso
non è solo il petrolio...c'è in più un elemendo di demenza:
vogliono il potere assoluto. La religione di Bush è un punto
interessante da considerare. Da un lato è calcolata al
millimetro, visto che è diventato un «born again Christian»
proprio quando doveva aiutare suo padre con i voti in Texas. Ma c'è
un aspetto della religiosità di Bush che è molto sincero: la
nozione magniloquente che Dio lo abbia scelto. So che fa
ridere...ma lo ha persino detto, in più occasioni: ha detto che
Dio lo ha scelto perché vincesse contro Gore, per combattere la
guerra contro il terrorismo e, ora, per combattere l'Iraq. E ci
crede. E' stato ampiamente riportato anche da Usa Today e
dal New York Times come si prendono decisioni in questa
Casa Bianca: succede tutto tra un numero ristrettissimo di
persone, senza consultare l'intelligence necessaria...Quando Bush
era sull'aereoplano, l'11 settembre scorso, ha detto: «siamo in
guerra. Lo hanno fatto perché pensano che siamo deboli». In
realtà i terroristi lo hanno fatto perché volevano una guerra -e
l'hanno ottenuta. Ma quello è il modo in cui funziona il cervello
di Bush. Ed è da lì che viene la politica.
Nel tuo libro dici che l'antintellettualismo di Bush è stato
usato in modo molto abile...
Bush arriva da una lunga tradizione di presidenti
anti-intellettuali, dai tempi di Andrew Jackson. Quello che è
interessante è che la base populista di questa tradizione è
stata scippata per servire interessi assolutamente elitari. Bush
viene da una famiglia ricca. Fanno credere che i suoi errori
grammaticali siano un segno di empatia con «l'uomo comune». Ma
la mia teoria sul suo linguaggio è che i suoi errori non sono
indicativi di stupidità ma di insincerità. Fa sempre quegli
errori quando cerca di toccare una nota che non sente: cerca di
sembrare compassionevole, altruista, idealista....è lì che fa
gli errori. Quando parla di vendicarsi, di giustiziare delle
persone o fa quella sue battue sadiche, si esprime in modo
perfettamente chiaro. Sempre. Il libro è pieno di esempi. La
gente dice che è uno stupido. Invece è un imbecille morale e un
ignorante, ma penso che, politicamente parlando, sia astuto.
fonte: il Manifesto
USA: Teologia del
dominio
http://www.kore.it/_disc3/000000cf.htm
Da: da la Gazzetta Politica
Categoria: Articolo stampa
Nome remoto: 213.156.35.139
Data: 19 Mar 2003
Ora: 15:59:36
Commenti
Teologia del dominio
Il Papa e Bush divisi dalla guerra all'Iraq e dallo scontro tra
cattolicesimo e nuovo cristianesimo americano
Sbagliando qualcuno, potrebbe pensare che la teoria della guerra preventiva
abbia diviso il Vaticano e la Casa Bianca. Il muro è ben altro: da una parte vi
è infatti il "cristianesimo rinnovato" che cresce negli Stati Uniti,
dall'altra il resto dell'identità culturale cristiana.
L'arcivescovo anglicano di Canterbury ha aderito alla giornata mondiale di
digiuno e preghiera per la pace promossa dal papa in occasione del mercoledì
delle ceneri del 2003, duecento teologi cattolici e protestanti hanno firmato un
documento congiunto, il presidente del consiglio delle chiese evangeliche di
Germania, Koch, ha definito Bush "un fondamentalista religioso", i
leader di diverse chiese protestanti americane hanno invitato il papa a parlare
al palazzo di vetro dell'Onu. Perché? Nel suo discorso del 30 gennaio 2003 Bush
ha detto: "dobbiamo anche ricordarci che la nostra missione, in quanto
nazione benedetta, è quella di rendere migliore il mondo.[...] Ci sacrifichiamo
per la libertà degli altri popoli.[...]La libertà che tanto stimiamo non è il
dono dell'America al mondo; è il dono di Dio all'umanità. Non pretendiamo di
conoscere tutte le vie della Provvidenza, ma in questa crediamo, riponendo la
nostra fiducia nel Dio misericordioso che regna su tutta la vita e tutta la
storia". Quella del "cristianesimo rinnovato" è una galassia
tanto composita quanto a noi non a sufficienza nota.
Neo-cristianesimo rinnovato
George W. Bush sa bene quanto sia composita: da governatore dal Texas gli fu
chiesto di graziare una giovane estremista appartenente alla degenerazione di
quel mondo: e non lo fece. Gli estremisti di quel mondo da anni teorizzano il
trauma sociale: per costoro in America si annida un nuovo "Hitler
collettivo", il fronte abortista, che consente uno sterminio di non nati
che ha pari soltanto negli stermini hitleriani. Ecco gli attentati, la lotta
armata per portare tramite l'insurrezione sociale a una presa di coscienza della
necessità di combattere il nuovo nazismo.
Questa è la degenerazione del nuovo cristianesimo, ma solo capendo come si
arriva a quella degenerazione si capisce perché il fenomeno allarmi le altre
chiese cristiane, e non soltanto per motivi di proselitismo. Sui siti web del
cristianesimo rinnovato che ho visitato la verità più ricorrente e diffusa che
ho trovato è estremamente semplice: al mondo esistono due imperi, quello di
Satana e quello di Cristo. O si sta da una parte o si sta dall'altra. Ma quali
sono i confini dell'impero di Cristo? Il reverendo Billy Graham è finito spesso
e volentieri nel fuoco dei duri di questo neo-cristianesimo che egli ha avuto
tanta parte a creare a rendere potente. La sua colpa? Non ha reciso i ponti con
gli altri cristiani, definisce il papa una personalità tra le principali del
secolo trascorso, non è sicuro che il fuoco degli Inferi sia fuoco vero, lo
accetta solo come ipotesi ma non esclude che si tratti di una verità simbolica.
Billy Graham è certamente un uomo più importante di quanto appaia nei
resoconti che leggiamo abitualmente dagli Stati Uniti.
Il Rasputin della Casa Bianca
Intimo dei presidenti americani dai tempi di Nixon, è violentemente
criticato anche dal fronte laico e liberal, accusato di alimentare un nuovo
fondamentalismo cristiano. I suoi detrattori affermano che gli archivi americani
hanno portato alla luce, tra l'altro, una sua lettera dell'aprile del 1969 a
Richard Nixon, nella quale esortava il presidente a bombardare le dighe
vietnamite, in modo da vincere subito la guerra anche se al costo di un numero
elevatissimo di vittime. Lui, la Christian Coalition, la teologia del dominio,
le nuove chiese evangeliche: è questa l'ossatura di un'America non molto
conosciuta. Billy Graham si prese cura dell'alcolista George W. Bush e lo portò
a sentirsi "piccolo piccolo davanti alla scoperta che Dio ha mandato Suo
Figlio per salvare anche me".
Ovvio che sia preposto agli esercizi spirituali del presidente e che sia
stato il predicatore prescelto per celebrar messa nella Cattedrale Nazionale di
Washington dopo la strage dell'11 settembre, davanti al presidente degli Stati
Uniti. Oltre a dire che non si spiegava perché Dio avesse consentito l'attacco
dell'America, il reverendo disse di capire però che l'America aveva bisogno di
un risveglio spirituale, e proprio il risveglio è l'anima del cristianesimo
rinnovato. Tempo fa si rivolse al reverendo Billy Graham per trovare la sua
strada anche Mike Bray, padre di quel movimento violento antiabortista che
riteneva legittimo ricorrere alla violenza contro i medici che praticano
l'aborto per impedirgli di seguitare a uccidere bambini non nati. Le sue idee
trovano conforto non certo nella tradizionale teologia protestante, ma nella
nuova teologia della destra cristiana americana, la teologia del dominio.
Il pensiero anti-evoluzionista
Secondo questo pensiero il cristianesimo deve riaffermare il dominio su ogni
cosa, compresa la laicità dello Stato. Chi di loro è impegnato in politica
crede che Gesù tornerà sulla terra dopo mille anni di governo cristiano e
quindi i cristiani hanno il dovere di creare le condizioni per il suo ritorno.
Secondo un sondaggio realizzato di recente dalla Gallup il 46 per cento della
società americana si riconosce nel pensiero delle chiese evangeliche del
cristianesimo rinnovato, all'interno del quale è certamente parte significativa
la teologia del dominio.
Proprio come sottolineava anni fa Hans Kung, uno dei cardini del pensiero di
questo nuovo cristianesimo è il rifiuto delle teorie evoluzioniste, rifiuto
fatto proprio ufficialmente da George Bush. Anche qui Bush è espressione di un
pensiero estremamente diffuso in America: sempre secondo la stesso sondaggio
Gallup la pensano come lui il 48 per cento degli americani. L'importanza di
questo pensiero dunque non può essere né sottovalutata né tratta con
superficialità o disprezzo. Anche perché, oltre alla quasi maggioranza degli
americani, si richiamano a questo pensiero, ovviamente con sfumature e intensità
diverse, George Bush, il suo consigliere e ghostwriter Michael Gerson, i capi
del pentagono, il ministro della Giustizia. Alle otto e trenta del mattino, nel
suo ufficio ministeriale, questi tiene degli incontri di preghiera con i suoi
dipendenti. Rumsfeld invece sotto Natale ha convocato al Pentagono un gruppo di
leader religiosi per discutere di guerra preventiva in chiave religiosa.
Il ruolo politico delle congregazioni
Bush e i suoi fanno dunque parte di un movimento religioso che sta
profondamente cambiando l'America, mettendo in crisi non soltanto la chiesa
cattolica, ma anche le tradizionali chiese protestanti. Uno studio realizzato
nel 2002 dall'Hartford Seminary e citato da James Harding sul Finacial Times
afferma che le congregazioni evangeliche sono il 58 per cento delle nuove
comunità religiose formatesi in America dagli anni novanta. Il principale
consigliere di Bush, Karl Rove, ha sostenuto che le comunità cristiane non
contano abbastanza nella politica americana. I suoi calcoli dimostrano che circa
20 milioni di cittadini sono evangelici "rinnovati", ma quattro
milioni di loro non hanno votato alle ultime elezioni. E' un serbatoio da far
crescere e portare alle urne aumentandone il peso politico. Correndo verso il
nuovo risveglio il pensiero del cristianesimo rinnovato sembra riportare in auge
un'America un po' lontana, quella di Calvine Coolidge, una dei meno esaltanti
inquilini della Casa Bianca.
Nel suo discorso di insediamento, il 4 marzo del 1925, disse: "L'America
non cerca di costruire un impero terreno costruito sul sangue e sulla forza. Le
legioni che essa manda avanti non sono armate con la spada, ma con la croce. Lo
Stato che cerca di costruire per tutto il genere umano è di origine divina.
Tutto ciò che ha a cuore non è altro che meritare il favore di Dio
Onnipotente".
Repubblicani, si torna alle origini?
Stanno tornando a Coolidge i repubblicani? Il futuro e il passato ogni tanto
hanno punti d'incontro e tra quanti conoscono l'America alcuni affermano che il
risveglio spirituale in atto ricordi molto quel clima che si diffuse ai tempi
del maccartismo e del proibizionismo. Qualcosa è cambiato nella famiglia Bush.
Nonno Perscott, governatore del Connecticut, era un sostenitore di un altro
grande della politica americana, Franklin Delano Roosevelt, del quale apprezzava
l'internazionalismo, il new deal, il riformismo sociale. Papà Bush, Geroge I,
si sentiva a disagio in un partito "reaganianizzato" , aveva dei
repubblicani una visione più elitaria e meno populista. George W. Bush,
autodefinendosi in campagna elettorale un "conservatore
compassionevole", forse era consapevole, forse no, che quel compassionevole
non è tanto un termine politico, ma anche religioso.
Usando quel termine George W. Bush sembra fornire già prima del voto un
tributo al padre del cristianesimo conservatore, Russel Kirk. Teorico del
conservatorismo di destra, Russel Kirk nel suo libro The Conservative Mind ha
indicato quale cardine del pensiero conservatore " credere che un intento
divino governa la società e le coscienze, forgiando un'eterna catena di diritti
e di doveri, la quale lega i grandi e gli oscuri, i vivi e i morti, così che i
problemi politici sono, in ultima analisi, problemi morali e religiosi, e la
politica è l'arte di apprendere e di applicare la giustizia, nella convinzione
che la società richieda ordini e classi, e che la sola uguaglianza è quella
morale, visto che proprietà e libertà sono inseparabili". Padre della
nuova destra divina, convinto reaganiano, Kirk è stato una delle principali
teste di ponte tra conservatorismo politico e destra cristiana. Come Novak,
inviato da Bush in Vaticano per sostenere la tesi della "guerra
preventiva". Teologo cattolico dissidente, Novak, teorico proprio del
neo-conservatorismo e del neo-liberismo, da anni perora una nuova dottrina
sociale che capovolga quella della chiesa come la conosciamo oggi, rendendo il
Vangelo un fatto privato e facendo dell'arricchimento dei singoli il solo modo
di realizzazione dell'individuo su questo mondo.
Alfieri dell'America contro l'Islam
Novak da anni sostiene che il "Capitalismo Democratico", titolo di
un suo libro di grande successo, richieda non soltanto una nuova teologia, ma
anche una nuova religione. E' a sostegno della visione di un mondo dove Bene e
Male non hanno punti di accavallamento che serve una nuova teologia, una nuova
religione. Un'esigenza che probabilmente Billy Graham ha comunicato a George
Bush quando lo salvò dall'ubriachezza.
I reverendi Graham padre e figlio, Billy e Franklin, hanno costruito intorno
al loro invito ad una moderna crociata un' autentica forza politico-culturale, i
cui polmoni sono la Billy Graham Evangelistic Association e l'associazione
assistenziale Samaritan's Purse. "Decision", il loro periodico,
raggiunge un milione e 700 mila lettori, i loro articoli vengono pubblicati da
oltre cento testate e le loro prediche trasmesse da 700 stazioni radiofoniche.
Il libro più importante di Graham padre, Angeles, pubblicato nel 1975, ha
venduto un milione di copie in tre mesi.
Graham figlio recentemente ha pubblicato un libro che secondo la grande
stampa incita alla violenza religiosa definendo l'islam la religione del male e
Allah il Dio del male. L'autorevole quotidiano conservatore Wall Street Journal
lo ha intervistato al riguardo e stando alla Associated Press del 23 agosto 2002
il reverendo si è difeso dicendo di non aver parlato nel suo volume, The Name,
di Allah dio del male, ma di aver ricordato la violenza religiosa perseguita e
praticata dall'islam, che non può certo essere negata. Ma non aggiunto alcun
ma. Nella sua furia distruttiva l'islam, per un altro predicatore dell'estrema
destra cristiana, Jerry Falwell, ha potenti alleati. Per lui sono stati lesbiche
omosessuali e abortisti ad attirare l'ira di Dio su New York. Ma lesbiche e
omosessuali sono soltanto degli utili alleati, visto che nel mese di ottobre del
2002 Falwell ha dichiarato nel notissimo programma di informazione 60 minutes
della Cbs; "io credo che Maometto fosse un terrorista". Se non il
mandante, dunque, l'ispiratore di chi ha pianificato e perpetrato gli attacchi
dell'11 settembre.
Molti convengono nel dire che Jerry Falwell ha una forte capacità di
mobilitazione. È giunto così il momento di soffermarsi sulla Christian
Coalition, il cui massimo esponente è il pentacostale Pat Robertson, anch'egli
assai vicino alla Casa Bianca. All'inizio degli anni ottanta Robertson spiegò
che "la costituzione degli Usa è un documento meraviglioso di autogoverno
del popolo cristiano. Ma un minuto dopo averla messa nelle mani dei non
cristiani e degli atei viene usata per distruggere la nostra società".
Questi atei erano davvero preoccupanti per Robertson, tanto che nel 1986
disse; "Le termiti non costruiscono, sono i cristiani, quasi come un sol
uomo, ad aver costruito gli Stati Uniti. Ora però le termiti governano molte
nostre università e istituzioni; è il momento di un rogo divino".
Robertson in un'intervista rilasciata nel 1993 a Molly Ivins disse che i
liberali stavano facendo ai cristiani quello che i nazisti avevano fatto agli
ebrei in Germania. Ovvio che di lì a breve, durante un discorso tenuto
nell'ottobre del 1993 all'American Center for Law and Justice, Robertson abbia
sostenuto che " non esiste nella Costituzione una cosa che si chiami
separazione tra chiesa e Stato. E' un'invenzione della sinistra che non ci
beviamo più".
Robertson e la Christian Coalition
Questo fondamentalismo era dunque forte ed attivo ben prima dell'11 settembre
negli Usa e nella galassia che circonda o forma il Partito Repubblicano; ma in
qualche modo riusciva ad essere, una patologia fisiologica in una società
complessa come quella statunitense. Lo è diventato assai meno dopo l'11
settembre. Il 25 Marzo del 2002 il Pat Robertson che si presenta all'Economic
Club di Detroit è un uomo dai toni assai meno bruschi e "fondamentalisti".
Si dice consapevole che non tutti i seguaci di Maometto sono dei
fondamentalisti o terroristi, ma la sua ricetta è severa, e dopo le ricette che
è facile immaginare contro immigrazione e sovranità dei tiranni dice:
"Infine la mia raccomandazione più importante è quella di porci umilmente
davanti all'Onnipotente e chiedere perdono per i nostri peccati. L'America è
divenuta prospera per la speciale protezione accordatale dal Signore. Questa è
stata una nazione speciale per Lui. E' stata la terra da Lui scelta. Dobbiamo
abbandonare la strada che stiamo seguendo e riconoscere la Sua sovranità e
chiedere umilmente la Sua protezione contro i nostri nemici". Il Washington
Post, in un editoriale ripreso dall'Herald Tribune ha definito assordante il
silenzio di Bush sulle predicazioni di Graham, Robertson e Fawell, tutti
definiti assai vicini al presidente.
( Roberto Saliba)
Bush, Dio e le armi
di Alexander Stille, La Repubblica 6 marzo 2003
Mentre gli Stati uniti si preparano alla guerra contro l’Iraq di Saddam
Hussein, la gente ha iniziato a preoccuparsi per il sempre più frequente
ricorso da parte del presidente George Bush ad espressioni religiose –
riferimenti a Dio, alla religione, alla fede – nonché espressioni come
“crociata” e “asse del male”, utilizzate all’indomani degli attacchi
dell’11 settembre, un anno e mezzo fa.
Specialmente in Europa, alcuni articoli dipingono Bush come una figura
messianica, religiosa, che conferisce cariche nelle alte sfere soltanto ad altri
cristiani evangelici, e questi articoli riferiscono che gli incontri di
preghiera sono frequenti quanto gli incontri politici. Tutto ciò è corretto?
Dobbiamo forse preoccuparci per questa di Bush a mescolare religione e politica?
Credo che la risposta sia sì e no al tempo stesso. Non c'è alcun dubbio sul
fatto che Bush è un uomo autenticamente religioso, che da quando è stato
nominato presidente è sempre stato molto disponibile a parlare della sua fede.
Quando era in campagna elettorale qualcuno li chiese chi fosse il suo filosofo
preferito, ed egli rispose:
«Gesù Cristo, perché ha cambiato il mio cuore». Suo padre (il presidente
Bush I) era membro della Chiesa episcopale, ma praticava una forma di religiosità
molto anemica, tipica del New England. Il figlio, membro della Chiesa metodista,
pratica una forma di religiosità molto più impegnata e tipica del Sud. Bush è
stato molto sincero quando ha riferito di aver avuto un grave problema di alcol
fino ai 40 anni, età in cui riscoprì la fede e abbandonò il vizio del bere
per sempre. Pensa che quell'episodio abbia trasformato radicalmente la sua vita:
«C'è un'unica ragione per la quale mi trovo nello Studio Ovale: ho trovato la
fede. Ho trovato Dio. Sono qui grazie al potere della preghiera», ha detto. «Se
la gente vuole davvero conoscermi - dichiarò Bush durante la sua campagna
elettorale per la presidenza - deve comprendere che la mia devozione al Cristo
è parte integrante della mia vita».
Le invocazioni a Dio di Bush suonano più inusuali alle orecchie europee di
quanto non suonino a quelle americane, in parte per una differenza di tradizioni
culturali. Soltanto il 20 per cento degli europei dichiara infatti di prendere
parte ai servizi religiosi ogni settimana, mentre in America è il 50 per cento
della popolazione a dichiararlo. Inoltre un esplicito linguaggio religioso è
generalmente elemento tipico dei discorsi politici americani. Gran parte della
magniloquente retorica di Abramo Lincoln fu modellata proprio sulle espressioni
della Bibbia del Libro dei Re: «Senza cattiveria verso alcuno, con giustizia
nei riguardi di ognuno, con la fermezza del diritto che Dio mi consente di
esercitare, mi impegnerò a portare a termine ciò che ho intrapreso», promise
nel suo secondo discorso inaugurale.
All'alba della Guerra Fredda, il presidente Harry Truman osservò: «Ho
l'impressione che Dio ci abbia creati e condotti all'attuale posizione di potere
e forza per qualche grande scopo». Jimmy Carter insegnava catechismo ed è un
Battista del Sud profondamente devoto. Cogliendo di sorpresa molti che non sono
del Sud, dichiarò una volta di essere un peccatore, perché «nel suo cuore
c'era cupidigia». Ma la sua religiosità infastidì meno gli europei, perché
è stato uomo di pace. Ma con ogni probabilità l'enfasi che, diede ai diritti
umani era dovuta alla sua fede.
Talvolta, tuttavia, accade che nella politica americana la religiosità
individuale e i riferimenti religiosi siano due cose distinte. II presidente
Reagan, amato dai fedeli più conservatori, utilizzò alcune espressioni
religiose, come quando si riferì all'Unione Sovietica come all"'Impero del
male", ma non andava in chiesa quasi mai e probabilmente le sue convinzioni
religiose erano alquanto tiepide. Anche Bill Clinton è un uomo sinceramente
religioso, che cita le scritture e non ha bisogno del libro dei salmi per
cantare in chiesa, ma era inviso ai fedeli di destra e sostenuto dai laici di
centrosinistra.
Nel XIX secolo, Toqueville fece notare il ruolo positivo della religione
nella vita americana e l'alto livello raggiunto dalla carità e dalla
filantropia esercitate dai privati: «La religione li induce ad aiutarsi l'un
l'altro e li rende disponibili a sacrificare con buona volontà una parte del
loro tempo e dei loro beni per il benessere altrui». Tuttavia egli
diligentemente annotò anche che in America la libertà religiosa e la libertà
politica sono intimamente connesse: «In Francia ho visto lo spirito religioso e
lo spirito della libertà marciare quasi sempre in direzioni opposte». Gli
americani da lui interpellati, invece, attribuivano in gran parte «alla
separazione tra Chiesa e Stato l'evidente importanza della religione nel loro
paese».
Credo che Ari Fleischer, che non è cristiano ma ebreo, sia credibile quando
sostiene che Bush, profondamente devoto, non è indotto ad agire dalla sua
religiosità. «Le decisioni che il presidente prende in merito alla guerra,
alla pace, al fatto che in Iraq si debba o non si debba utilizzare la forza, si
basano sulle opinioni del presidente in quanto leader laico, interessato a fare
ciò che è necessario allo scopo di proteggere il suo paese», ha infatti
dichiarato.
Gli americani sono maggiormente liberi di parlare di religione perché la
religione è stata tenuta accuratamente distinta dallo Stato. Gli europei,
invece, sono molto più preoccupati se i politici usano espressioni religiose,
perché la religione in Europa è sempre stata religione di Stato, ispiratrice
di molte guerre fratricide. In Italia con ogni probabilità i primi ministri
democristiani erano credenti, ma in linea di massima hanno sempre cercato di
evitare di parlare della loro fede. Quando hanno cercato di rendere politica la
religione, come nel caso del divorzio e dell'aborto, gli elettori li hanno
rifiutati in massa.
Nonostante tutto, però, nell'enfasi religiosa di Bush ci sono alcuni
elementi che si scostano dalla tradizione e che preoccupano molti americani. La
fede di Lincoln era profonda e problematica. In piena Guerra Civile, Lincoln
fece un discorso nel quale osservò come entrambe le parti impegnate nel
conflitto «leggessero la stessa Bibbia, e pregassero lo stesso Dio, invocando
ciascuna di esse il Suo aiuto contro il nemico». Riconoscendo che entrambi gli
eserciti pensavano di avere Dio al loro fianco, le strade della Provvidenza
risultavano incomprensibili agli esseri umani. «Non possono essere esaudite le
preghiere di entrambi. Nessuna delle due può essere pienamente esaudita.
L’Onnipotente ha i suoi impegni”.
La fede personale di Bush non è né fanatica né messianica, secondo quanto
ha rilevato il giornalista Joe Gein (autore del romanzo Primae Colors) che ha
intervistato a lungo il presidente: «Non manifesta mai un accenno seppure
minimo al dogmatismo o al concetto di destino, al contrario: la sua fede è
umile e pacata». Il problema non è tanto il fatto che Bush sia religioso, ma
che la sua visione del mondo sia semplicistica, scevra di profondità. Nel suo
libro intitolato The Right Man ("L'uomo giusto"), l'ex speechwriter
David Frum, uno di coloro che gli preparano i discorsi, scrive che Bush presenta
fondamentalmente i seguenti difetti: «E' impaziente e facilmente preda della
collera; talora poco scrupoloso, addirittura dogmatico; spesso privo di curiosità
e pertanto male informato; più convenzionale nel ragionare di quello che si
ritiene debba essere un leader. Ma a fare da contraltare ai difetti, vi sono le
sue virtù: il decoro, l'onestà, la rettitudine, il coraggio e la tenacia».
Sia i difetti che le virtù costituiscono l'altra faccia di una medesima
caratteristica: l'incapacità e l'inadeguatezza a cogliere le sfumature, a
considerare i vari aspetti di uno stesso problema.
Pertanto se il Dio di Lincoln era misterioso e imprevedibile, Bush non ha
dubbi: Dio e la ragione sono dalla sua parte. David Frum racconta come la sua
espressione "l’asse dell'odio" sia stata trasformata dal capo dei
suoi speechwriter nell'espressione "l'asse del male", quindi
con un ancor più palese riferimento alla prospettiva religiosa. «Questo non è
un discorso politico», ha stigmatizzato Elaine Pagels, del Dipartimento di
Religione dell'Università di Princeton. «Questo è il linguaggio che usano i
fedeli bigotti, cristiani e musulmani. Quando parla di "asse del male"
egli colloca tutti coloro che non sono d'accordo con lui nel regno del male».
In realtà questo più che essere espressione della religiosità di Bush, è una
forma riconducibile alla religiosità laica tipicamente americana, quella del
Destino Manifesto, che servì a giustificare la guerra tra Messico e America.
Inoltre Bush non tiene conto della lezione abbozzata da De Toqueville, quella
secondo cui l'irrefutabile religiosità della vita americana era possibile
grazie alla rigorosa separazione tra Stato e Chiesa. Bush infatti sta
introducendo la religione in luoghi dai quali è sempre rimasta esclusa. Ha
promosso "iniziative basate sulla fede, grazie alle quali la carità
religiosa privata andrà gradualmente a sostituire le organizzazioni statali che
assicurano i servizi sociali. Promettendo che le istituzioni religiose
riceveranno finanziamenti dal governo per le strutture che espleteranno sia
servizi religiosi che sociali egli renderà di fatto molto più difficile tenere
distinte le due cose. Uno dei centri per il trattamento delle tossicodipendenze
che Bush ha elogiato nel suo Discorso sullo Stato dell'Unione non sembra
promuovere nulla più che la religione. «Noi crediamo che il recupero inizi
presso la Croce. - si legge in un loro opuscolo - Per spezzare le catene della
dipendenza, noi facciamo affidamento solo sulla Parola di Dio».
Bush sta cercando di spingere coloro che si oppongono all'aborto a ricorrere
ai giudici federali e la sua promozione della religione, così agguerrita, ha a
che vedere sia con l'opportunità politica che si presenta, sia con la sua fede
personale. Nel 2000 1'82 per cento dei cristiani conservatori ha votato per Bush,
ma Karl Rove, capo stratega politico di Bush, ha dichiarato che circa altri
cinque milioni di loro sono rimasti a casa e non hanno votato affatto. «Dobbiamo
investire moltissimo tempo e molte energie per riportarli alla politica», ha
dichiarato Rove. Questo significa, presumibilmente, introdurre ancora più
religione nella politica, con un ulteriore rischio di erodere il muro che le
tiene separate.
(Traduzione di Anna Bissanti)
Pane
e Bibbia, sono già alla frontiera i crociati di Bush
Mar, 8 Apr 2003 alle 09:06.45
da Corriere della sera del 8/4/2003
I gruppi cristiani Southern Baptist e Samaritan’s Purse, grandi
elettori del presidente, pronti ad assistere ed evangelizzare gli
iracheni
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK - La battaglia «per i cuori e per i cervelli» è ancora alle
prime scaramucce con le foto dei marines che soccorrono i bambini nel
deserto. Presto però potrebbe diventare una sporca guerriglia, giocata
sugli stomaci vuoti e le idee confuse degli iracheni. E potrebbe pesare
persino sulle elezioni presidenziali americane del 2004.
Per capire perché, bisogna dare un’occhiata a chi c’è dietro i
camion carichi d’acqua, cibo e medicine già allineati in Giordania e
Kuwait e pronti a varcare il confine con l’Iraq. Mentre cadono le
statue di Saddam, s’allunga questa coda di gruppi non governativi che
premono per entrare con gli aiuti: non tutti ben accolti in un Paese
dove i musulmani sono il 97 per cento della popolazione. «Con il pane
in una mano e la Bibbia nell’altra», ha scritto il Guardian di
Londra, marciano verso Bagdad vecchie conoscenze del presidente Bush: la
Convenzione «Southern Baptist» e gli evangelici del «Samaritan’s
Purse», vale a dire due anime della destra radicale cristiana che usano
con una certa disinvoltura il copyright di Gesù e hanno fatto notizia
per posizioni sull’Islam che con un eufemismo si direbbero
intransigenti.
Meno d’un anno fa, il reverendo Jerry Vines, ex capo dei Southern
Baptist (16 milioni di fedeli, il più forte gruppo protestante e il
secondo gruppo religioso della nazione dopo i cattolici) ha avuto modo
di sostenere che Maometto «era un pedofilo posseduto dal demonio» e un
«terrorista». Il suo successore, reverendo Jack Graham, s’è
guardato bene dallo sconfessarlo e altri reverendi oltranzisti come
Jerry Falwell gli hanno battuto le mani: questo gruppo sostiene adesso
di avere 800 missionari già arruolati nel «mission board» e pronti a
prendersi cura del corpo (e delle anime) degli iracheni. Il rampollo di
un’altra famiglia Graham famosa nel mondo dell’integralismo
cristiano, Franklin, è invece a capo dei Samaritani. Un anno fa, con un
libro e qualche intervista ha spiegato all’America che l’Islam è
intrinsecamente «malvagio e violento». Negli interventi successivi ha
chiarito di avere fra gli islamici «un sacco di amici», ma di non
sopportare proprio la loro religione. L’altro giorno, in un articolo
sul Los Angeles Times intitolato «Senza etichette» ha dichiarato di
avere acqua per 20 mila iracheni, rifugio per quattromila e medicine per
100 mila. Non ha specificato se prima d’un antibiotico sia prescritta
una preghiera per redimere il seguace d’una cattiva religione. «Non
è la tattica del bastone e della carota, ma io agisco in nome del
figlio di Dio».
L’America, si sa, è così attenta alle libertà d’opinione da
tutelare perfino i razzisti del Ku Klux Klan. I problemi cominciano
quando qualche libera opinione rischia di fare nel dopoguerra più danni
delle bombe. Ibrahim Hooper, portavoce a Washington del Consiglio per le
relazioni americano-islamiche, dice che i propositi umanitari dei due
gruppi cristiani «sono solo una copertura per chi è più interessato a
convertire che a ricostruire l’Iraq». Parla di «inganno odioso»: «Penso
sarebbe inappropriato se questa gente avesse qualunque tipo di supporto
dal governo americano in un momento in cui l’intero mondo musulmano
sospetta che questa sia una guerra contro l’Islam».
E questo è proprio il nocciolo della questione.
La Casa Bianca è stata attentissima, finora, a non lasciarsi trascinare
nella lotta tra fedi. Il portavoce Ari Fleischer ha spiegato: «Il
presidente sa che l’Islam è una religione di pace. Non gli importa se
qualcuno dice il contrario. Lui non è d’accordo con questo qualcuno.
Fleischer ha inoltre sottolineato che l’amministrazione non è
responsabile per i molti aiuti diretti in Iraq a titolo privato. E tra
le sei organizzazioni non governative che hanno avuto da Washington
contratti «umanitari» per 20 milioni di dollari non ci sono gruppi
ultracristiani.
Tuttavia la faccenda non è così semplice e non a caso il problema in
America è stato sollevato dal New York Times , non allineato con
l’amministrazione. Per Bush il peso di questi gruppi è rilevante. E
non solo perché il padre di Franklin Graham, Billy, lo convertì alla
fede militante e lo indusse a lasciare la bottiglia nell’85 (Franklin
nel gennaio 2001 ha letto l’invocazione a Dio prima del suo
insediamento alla Casa Bianca). Il presidente non è di sicuro un
crociato: essendosi imboscato durante la guerra del Vietnam, gliene
mancherebbe anche la statura. Allora però bisogna chiedersi cosa spinga
un politico ben consigliato come lui a lasciarsi fotografare da Time
(non erano certo rubate quelle immagini) mentre prima della riunione di
governo prega a mani giunte assieme ai ministri e ai consiglieri al
completo.
Forse la risposta è, appunto, politica. La destra cristiana e bianca,
radicale e sudista - quella, per capirci, della Bible Belt , la Cintura
della Bibbia - è la base elettorale di Bush. Nella corsa alla
nomination del 2000 i «Southern Baptist» e i loro simili gli
consentirono di sbarazzarsi del pericoloso outsider McCain prima ancora
che il partito facesse quadrato attorno alla sua famiglia. A questa base
Bush andò a rendere omaggio durante la visita all’università Bob
Jones del North Carolina (quella dov’erano proibiti, ancora nel 2000,
i fidanzamenti interrazziali). A questa base s’è piegato dopo le
farneticazioni di Vines, intervenendo alla Convenzione dei «Southern
Baptist». Paradossalmente, in poche settimane gli americani avranno
dall’Iraq anche una notizia di politica interna. Perché scopriranno
se il loro presidente vorrà e saprà restare «presidenziale», e
dunque resistere ai suoi stessi supporter: o se, a guerra appena
conclusa, sarà già partita la campagna elettorale 2004.
Goffredo Buccini
Bush,
una domenica solo con i Salmi
Lun, 10 Mar 2003 alle 17:48.49
da La Stampa del 10/3/2003
Bush, una domenica solo con i Salmi
Alla Casa Bianca in raccoglimento prima di dare il via all´azione
ANCHE I SUOI PIU´ STRETTI COLLABORATORI, COME PREVEDE LA COSTITUZIONE,
LO HANNO LASCIATO CON I SUOI PENSIERI
DOVEVA andare a Camp David ma ha preferito lo Studio Ovale, gli avevano
suggerito di dedicarsi a un nuovo round di diplomazia telefonica ma ha
dedicato più tempo alla lettura mattutina del suo Libro dei Salmi.
Nella quiete domenicale di Pennsylvania Avenue George Bush ha preferito
la solitudine per affrontare la scelta di portare l'America in guerra
contro Saddam Hussein in quella che si annuncia la settimana più lunga
della sua presidenza. E' stato il padre, l'uomo che fermò le truppe
lanciate sulla via di Baghdad nel febbraio di 12 anni fa per rispettare
i patti con gli alleati, a suggerirgli la necessità di raccogliersi con
se stesso. «Quando si tratta di scegliere fra la pace e la guerra deve
farlo una persona sola, il presidente - sono state le parole di Bush
padre per Bush figlio - perché mandare i figli e le figlie dell'America
a morire è la decisione più difficile per un presidente». I
consiglieri più stretti hanno fatto un passo indietro: dopo settimane
frenetiche da venerdì sera la tensione attorno al presidente si è
progressivamente allentata, creando un'atmosfera quasi surreale. E'
stato Dick Cheney, il vicepresidente, a far capire al team dei
consiglieri che era arrivato il momento: «Lasciatelo solo, oramai ha
tutti gli elementi per poter decidere». Uno dopo l'altro, nella
giornata di sabato, tutti hanno fatto un passo indietro, rinunciato a
una telefonata o più banalmente a fargli pervenire un appunto: il capo
di gabinetto Andrew Card, il consigliere politico Karl Rove, il
segretario di Stato Colin Powell, il capo del Pentagono Donald Rumsfeld.
L'ultima a chiudersi alle spalle la porta bianca dell'Ufficio Ovale
prima della domenica di riflessione è stata Condoleezza Rice,
consigliere per la Sicurezza nazionale, e sempre lei ieri ha informato
gli americani di quanto stava avvenendo: «La solitudine del presidente
in questi momenti è prevista dalla Costituzione», come quando si
tratta di decidere sulla sorte di un condannato a morte. Il
raccoglimento religioso di Bush è l'altra faccia dell'estrema
determinazione finora dimostrata a rischiare tutto nella partita
irachena: la propria presidenza e la possibile rielezione, il futuro
politico del partito repubblicano, le prospettive di ripresa
dell'economia, il ruolo di leader degli Stati Uniti nella comunità
internazionale, il sistema di alleanze multilaterali costruito dai suoi
predecessori negli ultimi cinquanta anni. L'unico precedente simile fra
gli inquilini della Casa Bianca è forse quello della scommessa politica
e militare che fece James Polk, altro uomo del West, quando lanciò la
guerra messicana. Ma allora Washington era la capitale di una nazione
giovane e fragile, non dell'unica superpotenza del pianeta. L'entità
del rischio ha segnato la domenica di riflessione. «La domanda che Bush
si sta ponendo - sostiene Richard Cizik, vicepresidente
dell'Associazione nazionale degli evangelici - è quella che Abramo
Lincoln si fece durante la Guerra Civile, non se Dio è dalla nostra
parte ma se noi siamo dalla parte di Dio». Per il «Washington Post»
il bivio che Bush ha di fronte è quello fra due predecessori idealisti,
Harry Truman e Woodrow Wilson: il primo con il ponte aereo verso Berlino
assediata dai sovietici pose le basi per la vittoria ottenuta nella
Guerra Fredda, il secondo entrò nella Prima Guerra Mondiale sperando di
combattere «la guerra che porrà fine alle guerre», ma si sbagliò.
Craig Stapleton, amico di famiglia dei Bush e oggi ambasciatore a Praga,
paragona il momento allo sbarco di Omaha Beach, la spiaggia più
difficile dello sbarco del 6 giugno 1944 che diede inizio alla
liberazione dell'Europa dal nazifascismo. E' dall'indomani dell'attacco
di Al Qaeda dell'11 settembre 2001 contro New York e Washington -
costato oltre duemila morti - che Bush interpreta la sua presidenza come
una missione per proteggere l'America da ogni nemico e ogni minaccia e,
in seconda istanza, per liberare il mondo dai nuovi pericoli: terrorismo
e armi di distruzione di massa. «Dopo l'11 settembre si è impegnato
con se stesso a che qualcosa di simile non avvenga mai più - dice uno
dei suoi collaboratori -, a non dover più stare in piedi di fronte a un
cumulo di rovine contenenti la cenere di corpi di cittadini americani».
Non è un caso che le basi dei soldati americani in Kuwait portino i
nomi degli Stati colpiti dagli aerei-missili: New York, Virginia, New
Jersey e «Let's Roll», il motto della rivolta dei passeggeri sul volo
caduto in Pennsylvania. E' questa la determinazione che consente a Bush
di non tentennare mentre sembra che tutto gli remi contro: la Russia
minaccia sanzioni Onu contro gli Stati Uniti, Parigi e Berlino in
rivolta raccolgono i favori di 4 americani su 10, al Consiglio di
Sicurezza incombe una storica sconfitta e l'abbattimento sul Kuwait di
una violenta tempesta di sabbia fa temere il peggio per l'armata dei
trecentomila attesa da una marcia di 500 chilometri prima di arrivare ad
affrontare la battaglia di Baghdad. «Dopo l'11 settembre Bush
percepisce il suo lavoro come una missione - ha scritto Richard
Brookhiser in un lungo articolo su «Atlantic Monthy» intitolato «La
mente di Bush» -, la sua unica missione nella vita». Nato in una
famiglia episcopale del Connecticut, con una mamma presbiteriana e oggi
fedele metodista - la religione della moglie Laura e dei pionieri del
West - Bush «ha fatto proprie quelle tradizioni che condividono un
approccio determinato agli eventi», osserva Douglas Brinkley, direttore
del Centro Eisenhower di New Orleans.
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